E tutto nacque lì, in incastro microcosmico, dal profondo abisso della poesia. Così presi a muovere le pinne per non cadere e giacere sul fondale da non guardare altrove, dove quello scendere è strumento d’eccellenza, origine, radice: e questo Redent Enzo Lomanno lo sa, ne ha compreso l’essenza. La parola è goccia d’acqua, fiotto che diviene flusso caldo e poi specchi di sola acqua nella perdita che abita.
Le terre sommerse in cui ci conduce sono cariche di pura bellezza liquida e d’altronde, come lui ci ricorda: “Forse abbiamo torto sulle branchie e per il nostro, nessun alibi“.
(Ksenja Laginja)
FUOR D’ACQUA
Giungimi,
come viene un fiotto d’acqua
sul pesce che brama ossigeno e resurrezione
Perché
vi sono opere sul tuo alluce
abbandonate lungo le rive, come seppie
dove
quel nuoto di tanta bellezza
deterge l’attesa e la scia
[Forse ho torto sulle branchie
e per il nostro, nessun alibi]
ma la secca di questo pensiero
avvampa di sabbia e voluttà
E quel reale frusciare nel mare
annega ragioni di fatti incompiuti
Portami;
trattienimi
con un dito
– liscia porcellana
e attaccami il sorriso
[Forse ho torto sulle branchie
e per il nostro, nessun alibi]
ma saprò respirare
prima o poi
tra il giorno
e quell’onda
di casa
e deserto
TROW UP
Quante volte, ancora
completamente inaridito
a centrare il bersaglio
Appoggiato
con flusso caldo
vomitando l’inferno
E ricordare e barcollare
nella medesima torsione
sorretto dal braccio
Lo scivolare
di acque torbide
residenti sconfitta
tra morte
e incapacità
quel piacere
senza luce
FOSCHIA
Vorrei un sussurrare di vento
alla bocca dello stomaco
Un completare eoni di ere
sulle braccia e sopra il volto
Vorrei, la foschia
[del nord]
dentro gli occhi
e l’ombra che non si spiega
Questa illusione
d’amore nel petto
increspa
un battito fermo
E una bolla di fumo
non puntella mai
il peso delle colpe
ACQUA
Prendiamo strade diverse
perché il tramonto allunga ombre
e non sopporto più
questo sfiorarsi
I venti di quel molo
arricceranno lamenti, ancora
lasceranno il denso a sviolinare
le rive
Anche ora
che più non s’affaccia
l’aspetto gaio del bambino
in questi specchi
di sola acqua
PERDITA
Un calice amaro
mi sosta in coda
e mille miglia ancora
restano per proseguire
La perdita
mi abita
La perdita
ci abita
E la sua casa
invece
non dista mai
troppo lontano.
Ora dimmi
Tu
che risuoli scarpe al vecchio
con parole rincorse a suffragio
Tu che in frantumi
bagni strade e vicoli e città
Tu che di caldo racconti,
tra pani di padri e di nonni
E di poesia, tra lampioni e cortili
Dimmi,
La perdita
ci abita?
Dimmi, se Lei stessa possiede
o è lo scalzo rumore dei piedi
sul freddo mattonato della via
a dominare intervalli e silenzi
Se è vuoto di questo corpo,
o solo margine bianco
pronto per il tratteggio
Vorrei sapere
sapere
dei difetti pigionanti
Dei buchi d’ossidiana
e del salto e della caduta
Dimmi,
La perdita
ci abita?
O siamo noi
ad abitarla?
SPUMA
Al di là
il vuoto contorno
ci resta d’eterno
Non l’ala
né il faraglione
Forse
la spuma
e il suo briccicare
Senza più casa
e nessuna sponda
da dimenticare
OPPONIBILE 2.0
Ho giurato
aprendo la finestra stamani!
Al mondo
lascio la bocca aperta dall’arsura
Lascio
Il ferro;
l’industria meccano quantica del pollice opponibile
Il logoro frusciare delle pagine nel volto contro vento
Lascio
La tachicardica frenesia delle vene
pulsanti sale e miniere polmonari
e braccia rotte
e gambe sfitte
e arterie zeppe
lascio,
un buco sul braccio e un tappo nel culo
Le persiane sprangate
nei viadotti ulcerosi
o quel guaire sommesso delle notti periferia:
dove cani e tossici sorridono alla luna
e tutto
ma proprio tutto
smette di assordare
E POI NULLA
Non ci fu preavviso
devastante la lama
tranciò netta
ossa ancora bianche
inconsapevoli
e non ci fu pietà
sgraziate le grida
da cane azzoppato
rimbalzarono stridendo
sul ciglio della strada
sole.
Poi…
poi nulla,
calò silenzio
e nessuno
prese coscienza di sé
nulla
divenne verità o bugia
Nulla,
divenne nulla e confusione.
Solo il dolore
arpeggiò puro e limpido
lineare e certo
uscendo dal seminato
[fu chiaro]
come una nota stonata
in un’orchestra appena imbastita
ed io,
semplicemente,
me ne innamorai
BACKGROUND
Andiamo insieme
ché ho spinto il petto
dentro l’ago l’altra notte
E il giovane nel pozzo
ha schiarito la sua voce
Raccoglimi sulla via
accartocciato sul domani
ancora a un pollice
dallo strato di cemento
[presa rapida e vapore]
del peccato pronunciato
Partiamo insieme
ché ho
un tappo di sale in gola
e una canzone triste
che raschia il mio background
Un cencio su a corona
e una lamina nel cuore
dove un soffio mi divora
come un urlo giù alle scale
che trascinano in cantina
Nascosto
giù
sempre
e solo
giù
Redent Enzo Lomanno nasce a Moncalieri il 5-4-76 . Scrive inizialmente per svago, raramente, poi sempre con più intensità. La poesia è per lui un qualcosa che va al di là di un semplice tratto: è una cura. Nel 2012 crea, insieme ad altri redattori, il movimento Bibbia d’Asfalto e insieme agli scrittori del Movimento, promuove diverse iniziative finalizzate alla socialità e all’arte, tra cui la rivista culturale quadrimestrale Bibbia d’Asfalto. I suoi testi sono stati pubblicati su blog letterari e Antologie.
Potete leggere di lui sul blog ufficiale di Bibbia d’Asfalto: http://poesiaurbana.altervista.org/
Dice di sé: “Morte, dolore, povertà non mi spaventano… mi spaventa di più l’inchiostro di un calamaio secco, inutilizzato, defunto nella mancata empatia della società odierna”