Patrizia Pierandrei, Poesie per la pace, in Brise, Aletti, Villanova di Guidonia, 2015, pp. 81-97.
Recensione di Lorenzo Spurio
In particolare la jesina Patrizia Pierandrei sembra aver recepito in maniera assai evidente la linea in qualche modo tracciata da questo progetto editoriale fondato, appunto, sull’esigenza di una comunicazione più concreta ed efficace tra le persone, una rinnovata consapevolezza improntata al recupero di quella convivialità autentica e di tutte quelle manifestazioni di dialogo, di confronto e di condivisione.
La parola brise, dal francese “spostamento del vento che dà sollievo alla calura estiva e che dal mare va verso la terra, come ci viene ricordato nella prefazione di Giuseppe Aletti, sembra sposarsi egregiamente con l’immagine che campeggia in copertina, uno scatto privo di sofisticate correzioni od effetti visivi, che immortala la Torre Eiffel. Inaugurata nel corso della Esposizione Universale del 1899, la Torre Eiffel che ben presto si convertì come immagine simbolo di Parigi e della Francia, venne eretta per celebrare il centenario della celebre rivoluzione francese. Nelle varie tonnellate di materiale di cui è fatta e nella sua costruzione ascensionale vertiginosamente filiforme celebrava la forza inventiva ed il progresso dell’uomo, ossia il raggiungimento di un periodo di prosperità economica dovuta all’applicazione concreta degli sviluppi della tecnica e dunque dell’attività di ricerca dell’uomo. In tempi a noi più recenti, se guardiamo direttamente alle aspre vicende geopolitiche che macchiano di sangue le cronache dei giornali, la Torre Eiffel non può che non rimandare l’attenzione alle varie stragi compiute dai fondamentalisti islamici che negli ultimi tempi hanno colpito, appunto, la capitale sulla Senna. Il lutto che la Francia ha sperimentato e che soffre è un lutto che coinvolge anche noi cugini d’Oltralpe e l’Europa tutta che si è vista obbligata, a seguito del clima di terrore instauratosi e alla paranoia sociale, a intervenire attivamente non solo con una partecipazione solidale verso i francesi ma richiamando l’esigenza di politiche estere e di difesa più scrupolose, a salvaguardia del bene collettivo.
Le poesie di Patrizia Pierandrei, come recita il titolo della sua silloge, vogliono ed intendono essere lette come “poesie di pace” cioè non come mere composizioni liriche con le quali la Nostra riflette sul suo stato o ci dà una sua particolare riflessione emotiva su quanto accade nel suo intimo e nel pubblico, piuttosto richiedono una lettura in sé compartecipativa, affinché ciascun lettore possa in qualche modo farle sue condividendone i messaggi speranzosi ed ottimisti di fondo, spesso intessuti su di un evidente sentimento cattolico.
La poetessa allora non parla solo di amori che ritrova nel ricordo e che vorrebbe rivivere al presente, fisicamente, cercando di annullare quello spazio temporale tra il passato e il presente sconsolato fatto, appunto, di memorie, ma anche dell’importanza del sentimento dell’amicizia e dell’esigenza, fondamentale, per i nostri ragazzi di poter contare su buoni insegnanti poiché l’istruzione, il rispetto e il senso di giustizia si apprendono da bambini. Non è possibile pensare un mondo migliore privo di ingiustizie, emarginazioni e nefandezze di vario tipo se non ci si preoccupa di istruire le nuove generazioni al rispetto dell’altro, all’ascolto, alla fede nella parola, all’esigenza del vero (“il mio sentimento di pronunciare/ le parole, che dicano il vero”, 84).
Patrizia Pierandrei autrice della sillogi Poesie per la pace inserita nell’antologica Brise di Aletti Editore (2015)
In “Sentimenti nostalgici” la Pierandrei ci parla del suo grande sogno che vela un’esigenza impellente di poter “ritornare nel giardino”: al giardino dell’infanzia, alle abitudini dell’adolescenza e comunque di un’esistenza spensierata e compiuta, ad una età felice e rigogliosa dove la noia e le preoccupazioni non avevano ancora fatto capolino. Il desiderio di raggiungere tale giardino, tale spazio mitico-illusorio, nonché di riappropriarsi con una consapevolezza forse immatura ma incontaminata, in termini pratici sembra sposarsi con quel rigetto delle difficoltà dell’oggi, con l’esigenza assai sentita di poter chiudere gli occhi e dimenticare quanto di nefando accade come il fenomeno pandemico della fame che lei traccia nella poesia “Il pane della verità”. Ricercare un giardino in cui rinverdire la propria età e ricollegarsi a quel passato reale tanto splendidamente revocato e assai importante è allora sia motivo di ricerca di sé stessi e volontà in parte di rinchiudersi nel proprio cantuccio di esperienze e persone conosciute, in un antro tutto personale del quale si conoscono alla perfezione tutte le procedure di funzionamento. Un po’ come la Mary ragazzina nel celebre Il giardino segreto che, una volta scoperto quello spazio irreale e rassicurante, non potrà più farne a meno. D’altro canto –e meno incline a una dimensione fantastico-possibilista- la Pierandrei identifica in quel giardino dell’esperienza passata un motivo d’evasione in uno spazio incontaminato e vivibile, sempre fresco e profumato, dove la presenza del male e la violenza delle immagini non sono capaci di incrinarne il fascino primigenio.
Una nota di riflessione va riservata in particolar modo alla poesia “Comunione” nella quale la poetessa jesina sottolinea con il suo verseggiare tipicamente allitterativo per mezzo di rime baciate ed altri sistemi fonici a fine verso la centralità della parola come atto comunicativo ed elemento aggluttinante, solidificante, aggregante della società. La Nostra focalizza assai bene quale sia uno dei maggiori problemi dell’oggi ossia la mancanza di comunicazione. La società è, infatti, immersa in un grave e assordante inquinamento acustico dove non è la comunicazione sana e rispettosa degli interlocutori a dominare, piuttosto le grida, le minacce, i lamenti, gli sfottò, i pianti acuti, le denigrazioni e i comandi. La Pierandrei, con i suoi versi dalla chiarezza disarmante, è capace di riflettere e predisporre il lettore a una maggiore concentrazione su questo fenomeno del quale sottolinea l’aridità dell’universo comunicativo, la penuria di parole volte alla costruzione e il dominio, invece, dei pochi che parlano e urlano comandando sugli altri che, sottacendo alle minacce, avallano la loro inferiorità acconsentendo a futuri e maggiori castighi.
“Comunicare ci insegna a conoscere/ nuove prospettive per migliorare il vivere,/ perché ci si possono scoprire/ freschi progetti per l’avvenire” (95), scrive. Il dialogo e il confronto, anche laddove avvenga su posizioni ideologiche differenti, deve mantenere sempre un rispetto per l’interlocutore e, soprattutto, non degenerare nell’adozione di comportamenti concreti, di natura fisica, che denigrino l’alto potenziale del verbo.
Jesi, 21-0-2016