Poetry

Creato il 18 aprile 2011 da Tiziana Zita @Cletterarie

Il cadavere di un ragazza affiora dalle acqua di un fiume. Un’anziana signora che si dimentica le parole, scopre di avere l’Alzheimer. Quando era bambina il maestro le disse: “un giorno diventerai poetessa” e così lei si iscrive a un corso di poesia. Mija, a 66 anni fa la badante di un vecchio disabile e si occupa del nipote adolescente, affidatole dalla figlia che si è trasferita in un’altra città dopo il divorzio.
Nonna e nipote abitano nella stessa casa quasi senza parlare: lei lo rimpinza e lui passa tutto il tempo davanti alla tv. Mentre Mija si sforza di scrivere la sua prima poesia, si scopre che la ragazza si è suicidata dopo essere stata ripetutamente violentata da un gruppo di compagni di scuola, tra cui c’è anche suo nipote. I genitori dei violentatori si riuniscono e decidono di mettere tutto a tacere, pagando una grossa cifra alla famiglia della ragazza per non rovinare il futuro dei figli.
Se volete vedere un film davvero insolito, che sfugge agli stereotipi e se ne infischia dei tabù, che non è certo leggero, ma non manca di leggerezza, non vi perdete Poetry.

Alla fine ci si sente scombussolati e tubati, senza riuscire a capire bene cosa pensiamo di tutto ciò che abbiamo visto. Il regista coreano Lee Chang-dong ci mette in una realtà dolorosa e drammatica in cui forse c’è ancora una speranza. La poesia entra in questo film come un balsamo e lo salva.
Poetry, attualmente nelle sale italiane, ha vinto la Palma d’oro per la miglior sceneggiatura, al festival di Cannes 2010. Lee Chang-dong, che ne è l’autore, si riconferma un regista disorientante. Ancora più estremo era il suo film Oasis, presentato a Venezia nel 2002: narra la storia di un ragazzo appena uscito di galera e di una donna cerebrolesa. Dopo un primo incontro in cui lui cerca di violentarla, poi torna per scusarsi e tra i due nasce una storia d’amore…
In Poetry la violenza entra con le buone maniere, accompagnata da un’insostenibile ipocrisia. Siamo in una piccola città della Corea del Sud, dove tutti sono pacati e gentili. Nessuno si scompone, i genitori sono tranquilli e ben educati: è come se i figli, invece di aver fatto uno stupro di gruppo reiterato, avessero rubato la marmellata. Quando si incontrano, si chiedono perché l’abbiano violentata, visto che era “piccolina e anche piuttosto bruttina”. Intanto il nipote se ne sta stravaccato davanti alla tv, amorfo e indolente, completamente privo di rimorsi, così come di emozioni e sentimenti.
Ora la protagonista che dimentica deve scegliere se dimenticare il fatto che tutti gli altri hanno già rimosso e che tutti la spingono a ignorare. Cosa farà Mija, pagherà il riscatto? E dove troverà i soldi della sua parte, visto che riesce appena a sopravvivere?
Yun Jung-hee, una delle più grandi attrici coreane, è tornata al cinema dopo 16 anni di assenza. L’attrice ha girato più di 300 film come protagonista ed è stata la regina di bellezza del cinema coreano dalla fine degli anni ’60, alla fine degli anni ’80. Ha iniziato la sua carriera nel 1967 con Sorrowful Youth, dopo aver sbaragliato 1200 aspiranti allo stesso ruolo. E’ stata un simbolo di fascino e la musa di molti registi. E’ tornata al cinema dopo anni, solo per lavorare con Lee Chang-dong.
Dice Tati Sanguinati in un’intervista: “Il fatto che Lee Chang-dong sia stato ministro della Cultura in Corea, è indice del coraggio di un popolo in grado di fare una cosa simile. Per noi sarebbe impensabile affidare a un artista un ruolo simile”. Ma noi ce l’abbiamo un artista simile? Dice ancora Sanguinati che: “rispetto a film fatti e visti altre novantanove volte, è bello scoprire un film che non era mai stato fatto prima come Poetry”.



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