Dopo l’anteprima veneziana “L’attesa” ha iniziato un percorso di distribuzione internazionale che ha permesso al film di essere visto in numerosi paesi del mondo. Per te deve essere stata una grande soddisfazione.
A proposito di emozioni “L’attesa” ne è impregnato fino all’ultimo fotogramma. E’ solo un caso o è il tuo cinema ad essere concepito in questo modo.
Qual è l’urgenza che ti ha spinto a realizzarlo
“L’attesa” nasce dalla mia storia personale e sicuramente rispecchia il rapporto con mia madre a cui come si capisce sono molto legato. Non è un caso se il corteo che si vede nel film termina proprio sotto casa mia, a Caltagirone, la cittadina che ho lasciato per venire a studiare a Roma. Tra parentesi la processione a cui prende parte il personaggio della Binoche è stata realizzata mettendo insieme una serie di appunti cinematografici relativi alle diverse che avevo filmato molto tempo prima dell’inizio del film e dai quali adesso Nicola vorrebbe realizzare un documentario.
Parliamo dell'attrice protagonista.
E com’è andata.
Improvvisamente un giorno mentre mi trovavo a fare dei sopralluoghi sull’Etna mi è arrivata una telefonata in cui la Binoche mi diceva che aveva appena finito di leggere il copione che mi voleva conoscere perché il testo l’aveva profondamente commossa. Arrivato a Parigi mi sono ritrovato nel suo appartamento a parlare del film mentre lei mi cucinava una ricetta polacca. Si era preparata all’incontro guardando i miei cortometraggi e ascoltando la mia musica che avevo postato su MySpace. Mi fece molte domande sulla genesi della storia, sui miei ricordi d’infanzia e sul perché l’avevo scritta proprio adesso. Quasi subito si è stabilita tra noi una voglia di stare insieme che è stata la stessa che ancora ci accompagna durante la promozione del film.
Comunicavi con lei in francese.
Vedendola recitare nel tuo film non si può non pensare a “Film Blu” di Kristof Kieslowski. Ci chiedevamo come hai fatto ad avvicinare una qualità di questo tipo.
Mi fa piacere che nominiate il grande regista polacco perché riguardandosi sullo schermo è stata proprio la Binoche a menzionarlo in riferimento al ruolo da lei ricoperto nel mio film. Una volta sul set trovare l’intesa non è stato facile perché Juliette pur avendo una grande tecnica ama immedesimarsi nel personaggio e nelle emozioni che lo attraversano. In questo caso dovendo interpretare una donna che aveva perso il figlio ogni volta che giravo lei non riusciva a trattenere le lacrime. Era invasa da quel dolore e non riusciva a trattenerlo. Il che non andava bene perché volevo che questa sofferenza fosse visibile ma attonita per poi esplodere solo nelle sequenze finali. Nei primi tre giorni di riprese gestirla mi è stato praticamente impossibile ed a un certo punto mi sono reso conto che l’intesa iniziale era sparita. Ci siamo fermati e ne abbiamo parlato. E’ stato un confronto franco e diretto e quando Juliette mi ha detto “Piero io non recito io sono” è stato impossibile rimanere calmi e ci siamo messi entrambi a urlare.
Visti i risultati mi verrebbe da dire che sia stata un alterco salutare.
A Lou De Grange che nel film è Jeanne la fidanzata di Giuseppe come sei arrivato.
Dopo sei mesi di casting e all’ultimo provino. In realtà li avevo finiti ed è solo per educazione che ho accettato di vederla. Ero molto stanco e voglioso di ritornare in Italia e lei arrivò pure in ritardo all’appuntamento. Appena la vidi entrare mi sembrava fisicamente inadatta. Io ero alla ricerca di un personaggio fragile e delicato a Lou non aveva nulla di quel candore che avevo in mente. Il provino però si è lentamente trasformato in una prova ed a quel punto ho capito che a cambiare doveva essere il mio personaggio che grazie a Lou sarebbe stato forte e animalesco come lei. Lou proviene dal teatro ed è un’attrice a cui non manca la tecnica. Ma nel film a venire fuori è la sua forza che riesce a essere alla pari con quella di Juliette.
A partire dai personaggi per continuare con i sentimenti presenti nella storia, “L’attesa” mi sembra un film profondamente femminile. Sei d’accordo.
Per un regista è importante innamorarsi dei suoi personaggi. A quel punto non c’è più nessuna distinzione tra maschile e femminile e come regista io sono in grado di descrive qualsiasi tipo di personalità.
Uso la macchina da presa in maniera istintiva per cui arrivo sul set e mi ci vuole un attimo per sapere dove collocarla per girare in maniera ottimale. Di costruito nella composizione delle immagini c’è poco niente, tutto viene fuori in maniera naturale. Quello di cui mi occupo maggiormente è la resa degli attori. Una volta definiti in sede di preparazione agli aspetti dedico pochissimo tempo perché come ti dicevo ragionare per immagini è una cosa che mi viene spontanea e su cui rifletto il minimo indispensabile.
Quanto a contato la tua esperienza come aiuto regista di Paolo Sorrentino.
Parliamo della fotografia del film che contribuisce non poco a far sentire lo stato d’animo dei personaggi.
All’inizio del film una panoramica ci mostra la macchina in cui viaggia Jeanne attraversare un paesaggio dominato da colori neri e grigi che fanno da presagio a ciò che attende la ragazza.
Volevo che il paesaggio facesse da cassa di risonanza dei sentimenti dei personaggi. Di fatto la Sicilia riflessa sullo schermo è un luogo dell’anima perché è la combinazione di diverse località. Così le pendici dell’Etna cupe e spettrali dovevano rappresentare l’anticamera di quello che aspettava che stava per toccare alla ragazza e segnalare il passaggio dal suo mondo colorato e pop a quello arcaico e ancestrale del territorio siciliano.
Di Giuseppe scegli di non dire niente, a parte i piccoli dettagli ricavati dai libri e dai dischi che vediamo nella sua camera.
Nella sequenza del funerale con cui comincia il film i movimenti della macchina da presa stabiliscono un legame tra Anna e il crocifisso la cui consistenza materica sembra riempire il vuoto lasciato da Giuseppe fino al punto di trasfigurarlo.
E’ esattamente quello che intendevo trasmettere con quelle immagini ed è proprio per questo motivo che cercavo un crocifisso che avesse la fisiognomica di un corpo giovanile. Non avendolo trovato ho pensato di realizzarmelo da solo, disegnandolo e poi filmandolo in 3D. Di fatto il crocefisso che vedete sullo schermo non esiste nella realtà ma dalla percezione delle immagini sembra esattamente il contrario.
Da come inserisci le figure nello spazio scenico si capisce che la loro collocazione non è casuale.
Quali sono, se ne hai, i tuoi registi di riferimento.
Sono sincero quando dico che quello che faccio è semplicemente l’elaborazione di ciò che vissuto e di cui mi sono emozionato. D'altronde il narratore è colui che elabora ciò che ha visto e per me funziona esattamente così. A parte questo se mi chiedi il nome di un regista dico l’Aleksandr Sokurov di “Madre e figlio” che ai tempi del film sono andato a scovare in Russia solo per testimoniargli la stima che nutrivo nei suoi confronti. Quando mi ha riconosciuto, a Venezia dove anche lui era in concorso, è stato un momento che difficilmente dimenticherò.
Visto che in qualche modo ha creato l’occasione perché ci potessimo incontrare volevo chiederti di dirci qualcosa della prima edizione del Round - Trip Festival A/R dedicato a Italia e Germania a cui hai appena partecipato
E’ stato molto bello che un festival del genere si sia potuto fare così come l’avervi partecipato, perché oramai in Italia il cinema è frutto di coproduzioni che però non diventano mai l’occasione di una condivisione artistica. Diversamente la manifestazione organizzata dal cinema Kino di Roma ha offerto a me e ai registi italiani e stranieri che vi hanno preso parte l’opportunità di stabilire un legame transnazionale che personalmente mi ha permesso di confrontarmi con un cinema diverso dal mio, e di conseguenza di pormi domande che normalmente non mi faccio quando sono sul set. Se aggiungiamo che tutto ciò è avvenuto nel corso di un dibattito a cui il pubblico poteva accedere liberamente, beh devo dire che questo è davvero il massimo per spettatori e addetti ai lavori. Adele De Blasi, Carlo Cerofolini