Police Python 357

Creato il 19 settembre 2011 da Robydick
1976, Alain Corneau.
Yves Montand indossa la stessa giacca per tutto questo film , ed è la stessa che indossava Clint Eastwood in ''Dirty Harry'' (Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo!) ('71). E l'elemento migliore del film è appunto Yves Montand, che in questo film si è sforzato ancora più che in altri. Nessuno anche nel 1975 creava e scriveva veramente sul nulla, ma non sarà difficile per tutti quei cinefili veramente di buona cultura e preparazione, ricordarsi che lo spunto di “Police Python 357” è il medesimo di tanti altri film come questo che apposta per quanto detto prima non rivelerò, ovvero quando Charles Laughton chiede a Ray Milland di indagare su un omicidio che lui (Laughton) stesso aveva commesso per poi far fare il capro espiatorio a Milland.
E anche in “Mr. Arkadin” (Rapporto confidenziale) ('54/'55) di Orson Welles, c'era un meccanismo simile. Ma questo non toglie niente ad un film, un thriller eccezionale, come è appunto “Police Python 357”. Montand è Ferrot, un poliziotto dai metodi non convenzionali ma che solitamente riesce così a risolvere quasi tutto da solo il quale ignora che la sua donna, molto più giovane di lui, Silvia Leopardi (la Sandrelli), è anche l'amante del potente capo della polizia Ganay (François Perièr). Quando, una notte, una lite tra lei e Ganay che ha scoperto la sua relazione con Ferrot, finisce con la morte della Sandrelli, egli affida il caso al suo miglior investigatore, cioè Montand.
Il sovrintendente di polizia Ferrot deve quindi indagare sull'omicidio e tutti gli indizi sono inesorabilmente contro di lui... senza essere al corrente che condividevano la stessa donna, affida il caso al suo miglior investigatore, cioè Montand. Tutta l'insostenibile angoscia e tensione adesso verterà sul personaggio di Montand che dovrà escogitare e commettere di tutto per impedire che qualcun altro possa arrivare a lui, come autore del delitto, in quanto quella sera era andato dalla ragazza per invitarla a uscire, trovandone per primo il cadavere e lasciando dietro di sé indizi compromettenti. La grande Simone Signoret interpreta una parte più piccola come la moglie ricchissima e malata costretta a letto del capo della polizia, e avoca a sé una grande scena, laddove chiede aiuto a Montand in una sequenza girata magnificamente da Corneau, culminante ma non solo, per chi era a conoscenza del dramma reale che c'era dietro la realizzazione della scena sul set. (La Signoret aveva grosse difficoltà a portare in fondo la scena per i suoi noti problemi di alcolismo, e perché il suo vero marito nella vita reale, Montand, si era comportato con lei per tanti anni come un vero pezzo di merda), e comunque suddetta sequenza rimane ormai imprescindibile per qualsiasi omaggio organizzato in ricordo di lei che è stata una delle più grandi attrici francesi di tutti i tempi.
Come i suoi fratelli maggiori, Claude Sautet e Jean-Pierre Melville, Alain Corneau ha realizzato alcuni dei migliori thriller e noir francesi della decade degli anni '70: “La Minaccia” (La Menàce)(1977) e “Sèrie Noire” (il Fascino del delitto) (1979) tra gli altri. "Police Python 357" è probabilmente il capolavoro di questo periodo in cui ogni sua opera era concepita stilisticamemte con una cura e una ricercatezza formale tale, da renderli pressoché irraggiungibili. Film che hanno una splendida confezione cinematografica, di fotografia, musica, montaggio, ambientazione, atmosfere, e tutto il resto, e ripeto, una cura e un'amore per il dettaglio e la sceneggiatura, i caratteri, le motivazioni e le psicologie dei personaggi, che ne fanno appunto una delle opere quasi ineguagliabili.
Qualcuno potrebbe ritenere questo genere di storia inverosimile o comunque non esente da difetti e, a volte, esso si può intravedere tra qualche piega degli accadimenti, ma lo stile preciso e la regia perfetta di Corneau contribuiscono invece a evocare un soffocante atmosfera crepuscolare. La prima parte del film prima che abbia luogo la notte dell'omicidio potrebbe sembrare poco interessante e comunque, è fondamentale, per quello che seguirà a questo momento chiave. Corneau utilizza uno stile di trattamento piuttosto sobrio con momenti e brevi, frammentarie apparizioni e dettagli, che poi nella parte secondaria, assumeranno anche enorme importanza, o personaggi minori che lo spettatore incontrerà ancora una volta durante l'inchiesta. A dispetto di ogni inconveniente di credibilità, Corneau e il suo sceneggiatore Daniel Boulanger hanno scritto una storia abile e affascinante. Ménard (Mathieu Carrière), il socio di Ferrot, esprime a volte con sua grande sorpresa, come mai Ferrot mantenga un profilo così relativamente basso durante l'inchiesta. Ma il suo superiore Ganay sa che di solito egli funziona e risolve tutto da solo. In realtà, Ferrot deve trovare continuamente degli “escamotàge” per confondere le acque e così agendo per discolparsi. Alla fine, l'idea principale delle preoccupazioni della pellicola si incentra su Ferrot. Lui è un poliziotto, ma che a poco a poco perde la sua identità e si trova nel cuore di una spersonalizzazione terribile. E' esemplificato questo, nella splendida, terribile sequenza del momento in cui si getta l'acido in faccia, in modo che i testimoni non lo possano riconoscere quando egli viene portato ad un faccia a faccia con loro.
Lo sfondo di questo thriller, Orléans, splendida città della Francia, è persino migliorato e in modo efficiente dall'occhio della cinepresa di Corneau, e aiuta ancora di più a ispirare a questo thriller inquietante il suo imbattibile fascino.
Da molti considerato il miglior noir francese anni '70 del post-Melville, “Police Pythonmelodrammatica nè manipolativa. Cinematograficamente e musicalmente, grazie alla colonna sonora di Georges Delerue è naturalmente superbo, il cast a partire da Montand e a parte la solita insopportabile Sandrelli, dentro per doveri di coproduzione con l'Italia, è splendido, per non parlare di una trama che rende il film assolutamente da vedere.
Dal triangolo amoroso che lo ha condotto alla rovina, la storia si sviluppa con il giusto tempismo, eppure senza nulla dei cliché di Hollywood che di solito rovinano sempre tutto. La Signoret è da rimarcare come sia sempre grandiosa nella parte della moglie handicappata di Ganay che sembra tuttavia a conoscenza di tutto (poi sapremo che è stato lo stesso Ganay ha tenerla sempre al corrente). Ma “Police Python 357” è anche un grande film sulla depersonalizzazione, aggiungendo così un ulteriore livello di interpretazione ad un film già di per sé avvincente, anche solo come thriller.
Purtroppo, non molti in un paese a pronunciatissima trazione antifrancese come il nostro, possono dire di avere davvero conoscenza e familiarità con il noir e il polàr, o il cinema di Corneau nella fattispecie. Io, Mauro Gervasini e non molti altri siamo sicuramente fra questi, e non ci siamo mai fatti ingannare dal becero nazionalismo italiano oggi così in chiave antifrancese come non mai, quindi sappiamo bene distinguere un capolavoro come “Police Python 357” da un qualsiasi altro prodotto d'imitazione del filone americano alla “Dirty Harry”. Si tratta appunto di un eccellente film poliziesco. Ma che deve di più al noir che ai film d'azione degli anni '70, nonostante il titolo che è poi quello di una famosa pistola, tra l'altro una delle migliori di quel periodo. Montand non ci si dovrebbe mai stancare di rimarcarlo, era veramente un attore bravissimo, e interpreta il ruolo per lui perfetto di un maturo ispettore di polizia come fosse veramente, quasi con un'aria di abitudine, sé stesso.
Gli squilli delle sveglie dei telefoni vengono utilizzati dalla eccellente regia di Corneau per accentuare il carattere ossessivo e infernale della storia, e del perverso meccanismo in cui Ferrot/Montand si è venuto a trovare. Oltre che per trovare le adeguate contromisure al personaggio pericolosissimo e potente di Ganay/Perièr, suo capo e nemico. Ma è la moglie di Montand nella vita reale e di Gany nella finzione, Simone Signoret, che è il personaggio che riveste il vero antagonista intellettuale di entrambi, basti vedere la bellissima sequenza de la sua reazione dopo che il marito gli confessa l'omicidio della sua amante, dicevo notevole, ma anche molto umana. Così, abbiamo un Montand ingiustamente accusato e che sta per essere incastrato come capo espiatorio dal suo bieco e criminale superiore per l'omicidio dell'amante, che inconsapevolmente condividevano, e che sta rovinando entrambi. Mentre la moglie di Montand nella vita reale interpreta la moglie del vero autore del delitto, e architetto del diabolico piano per rovinarlo.
C'è un terzo, solido elemento di questo film, che affiora e si verifica prima di ogni omicidio, ed è l'attenzione al ritmo, al carattere e all'impostazione stessa del film, che definisce questo come ben più di un titolo tipico del genere. Basta ammirare come Corneau gestisce e ci restituisce la su menzionata città di Orlèans, in modo non solo da ottenere un bel mix di belle vecchie case e bellissimi canali, ma anche di edifici moderni per uffici e in particolare c'è una sequenza visivamente molto bella in un negozio di alimentari situato in un'area pedonale, con delle riprese in interni-esterni caratterizzata da ottimi effetti contrastanti di luce e colori. Come nell'adattamento da Jim Thompson di Corneau, “Seriè Noire” (Il Fascino del delitto)('79), c'è un ottimo sfondo fatto di cultura pop e di consumismo, come di inelegante contorno alla violenza. Tutto splendidamente fotografato da Étienne Becker e musicato con una magnifica o.s.t., opportunamente drammatica, da Georges Delerue.
Il successo di un giallo si basa spesso su una piega inaspettata, ma credibile. Un thriller in cui il pubblico conosce già il colpevole, tuttavia, è più difficile da fare perché senza enigma da risolvere per il pubblico, i registi devono lavorare doppiamente per il difficile risultato di mantenere desto il loro interesse. “Police Python 357” è più, eccezionale, drammatico, intrigante dei noir realizzati nel periodo '73-'79, dopo la morte di Melville e la realizzazione del suo ultimo splendido film, “Notte sulla città” (Un Flìc)(1973), proprio perché anche se il pubblico sa tutto, in virtù di ciò i vari personaggi del film hanno diversi livelli di conoscenza della verità.
Al livello più basso vi è Menard (Mathieu Carriere, sempre bravissimo) il giovane poliziotto che conosce poco dell'omicidio di una giovane fotografa (Stefania Sandrelli) su cui si sta indagando. Più in alto vi è certamente il suo partner Ferrott (Yves Montand), che si trova in una posizione più “invidiabile” e sa che quando i vari indizi saranno messi uno dopo l'altro, ciò che si otterrà sarà arrivargli sempre più vicino ed essere implicato come il principale sospetto per l'omicidio della ragazza. Non perde quindi nessun passo per sventare la possibilità di esporsi verso Menard. Egli, tuttavia, non sa che il suo capo Ganay (Francois Perier), il capo della squadra politica, è il vero assassino e anche l'altro amante della ragazza assassinata. Ganay sa tutto (non all'inizio, ma alla fine) e complotta per uscire da questo pasticcio prima del suo imminente ritiro, incastrando Ferrott. Sopra questi tre livelli di conoscenza e le sue rispettive torsioni, vi è l'apice ovvero la moglie di Ganay (Simone Signoret), che non solo sa tutto, ma ha anche il distacco e la calma che Ganay non può avere.
E' guardando a questi tre livelli di non reciproca conoscenza che il film si rende così avvincente. Ci sono anche un paio di scene che ricordano Hitchcock, come quando Ferrott segue in auto a distanza la sua ragazza a piedi. E tutti coloro che come me adorano il western, ameranno Montand nel velocissimo scioglimento d'azione finale girato alla velocità del fulmine e in cui riesce a capovolgere grazie alla sua intelligenza una situazione senza apparente possibilità di vittoria (ma nel quale fa anche di più, battendo il meglio che abbiamo visto in western veri e propri, come Alan Ladd ne “Il Cavaliere della valle solitaria” (Shane) ('53), George Stevens, o Paul Newman in “Furia Selvaggia” (the Left Handed Gun) ('58), Arthur Penn, e Marlon Brando nello stupendo, rivisto pochi giorni fa, “I Due volti della vendetta” (One-Eyed Jack) ('61) di Marlon Brando. In più, il film ti sorprende di nuovo, perché i finali sono almeno due.
Interessante notare che i marito e moglie nella vita reale Montand e Signoret, i cui nomi compaiono rispettivamente per primo e secondo, nei titoli di testa, hanno una sola scena insieme, vicino alla fine.
Una grande sceneggiatura e alcuni dei migliori attori che il mondo abbia mai prodotto, fanno il resto. Montand dà all'idea del detective di polizia e "lupo solitario" una nuova dimensione di intensità e, soprattutto, credibilità. Quando un tipico poliziotto ed eroe hollywoodiano perde la famiglia, gli amici e gli animali domestici per un atto o una morte violenta, gli viene di solito dato il suo minuto di dolore. Ma quando i sessanta secondi sono finiti, si riprende l'usuale confezione, impugna la sua pistola e se ne va “allegramente” a sparare ai suoi nemici uno per uno. Qui, non è proprio così.
Montand/Marc Ferrot è naturalmente davvero devastato – dall'assassinio della sua donna, ma anche dall'aver scoperto che aveva un altro amante. In sé predominano una confusione e la rabbia di chi non cerca vendetta, ma ha bisogno di andare avanti per trovare il colpevole reale di un delitto in cui le sue impronte digitali sono per tutta la scena del crimine. Così tutte le sue azioni diventano improntate ad una logica per trovare una via d'uscita ad una situazione come detto sopra, apparentemente senza uscita. Questo è il motivo principale per cui questo film si colloca ad un posto talmente alto, tra gli altri thriller e noir francesi di quel periodo, ma definitivamente non il solo.
In definitiva, ”Police Python 357” non è solamente un “veicolo” per Yves Montand ma è un film eccellente e l'ho ripetuto in questa rece più e più volte, sull'aduso canovaccio dei due poliziotti che amano la stessa donna, dei quali uno l'ha uccisa mentre l'altro ha tutte le testimonianze che sembrano accusarlo, non sapendo all'inizio nemmeno dell'altro e di chi avrebbe potuto ucciderla. Il secondo, cioè Montand, deve quindi assolutamente trovare l'assassino, in quello che è un grandissimo, superbo finale.
E' anche il film che ha dimostrato e imposto definitivamente Corneau come non solo il primo vero fan e degno continuatore dell'opera cinematografica di J.P. Melville, ma anche probabilmente il più grande regista francese di polàr e noir della sua generazione, che si confermerà sempre come tale anche in seguito con altri titoli oramai internazionalmente sedimentati come capolavori assoluti del genere francese, per citare “Codice d'onore” (Le Choix des Armes) ('81) con un trinomio erinnico e massimamente rappresentativo del cinema francese: sempre Montand, ma poi Gérard Depardieu e Catherine Deneuve.
Nel film c'è una scena in cui François Périer (il cattivo Ganay) guardando il suo specchio da barba, e regolandosi il cappello, ricorda e cita apertamente il capolavoro di Melville “Frank Costello, faccia d'angelo” (Le Samourai)('67).
Il film è quasi monodrammatico su Yves Montand, che cammina sempre con la sua inconfondibile, immutata, camminata “danzante” come quando era ne “Le Cercle rouge” (I Senza nome) ('70), forse il massimo capolavoro e film “manifesto” dell'intera opera e epica melvilliana; o spara come se fossimo in “Z- L'Orgia del potere” ('70) di Costantin Costa-Gavràs, altro capolavoro massimo ad averlo per protagonista; solo la sua faccia già apparentemente sempre “matura” è diventata più sgualcita e segnata, da quei film di alcuni anni prima.
“Police Python 357” vinse il premio César (L'Oscar del cinema francese) 1977 per il Miglior Montaggio a Marie-Josèphe Yoyotte, oltre a essere nominato per la Migliore Musica Scritta per un Film (Migliore musica) al grandissimo Georges Delerue, probabilmente uno dei migliori in assoluto compositori di colonne sonore della storia del cinema.
Napoleone Wilson
































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