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Renzi, 39 anni tra pochi giorni, è diventato famoso per l’uso continuo del termine “rottamazione”, col che s’intendeva un’operazione volta a spazzar via il precedente gruppo dirigente del PD (i “rottamandi”) per sostituirla con i “rottamatori”, cioè i seguaci dello stesso Renzi. Poco convincenti, tuttavia, le motivazioni fornite per realizzare tale obiettivo. Non basta infatti un volto nuovo, o relativamente poco conosciuto, per giustificare le ambizioni di governo. Contano anche l’esperienza e il programma, nel caso del sindaco fiorentino desumibile da un libro che ha scritto e di cui molti hanno notato la scarsa consistenza.
Eppure questo modo di pensare si è diffuso con una certa rapidità. Mi è capitato nei mesi scorsi di guardare un servizio televisivo sul Partito Democratico nel quale una giovane e piuttosto avvenente signora diceva con grande convinzione all’intervistatore che “i 40enni devono governare”. Richiesta di spiegare i motivi, ha risposto, più o meno, “perché così avviene negli altri Paesi”. Mette conto notare, del resto, che il fatto di aver posto addirittura dei trentenni sul ponte di comando non ha impedito una sonora sconfitta del PD genovese nelle primarie che hanno poi portato Marco Doria (di SEL) a conquistare la poltrona di sindaco del capoluogo genovese.
Ma è vero che all’estero l’età costituisce una discriminante fondamentale per il successo politico? A occhio e croce si direbbe proprio di no. Angela Merkel e François Hollande sono entrambi 59enni in cammino verso i 60, e non risulta che agli occhi dei loro connazionali questo sia un problema. Si aggiunga che la Merkel è stata sfidata nelle ultime elezioni tedesche da un esponente della SPD che aveva 66 anni. Più giovane è Barack Obama, anche se è davvero difficile attribuire all’età le sue due vittorie elettorali. E negli Stati Uniti è rimasta celebre la batosta inflitta da Ronald Reagan a Walter Mondale nelle elezioni del 1984. All’epoca Reagan era un “arzillo vecchietto” di 73 anni, mentre il suo avversario democratico ne aveva ben 17 di meno.
La giovane e bella esponente del PD sopra citata aveva dunque torto e parlava a vanvera: il problema italiano è un altro e non è certo anagrafico. Nessuno in precedenza si sognava di contestare a De Gasperi, Togliatti, La Malfa, Malagodi, Nenni o Berlinguer i tanti anni trascorsi in Parlamento, e il motivo è semplice. Si trattava di personalità carismatiche alle quali tutti – prescindendo dalle differenze ideologiche – riconoscevano la passione per la politica e una visione ampia dei problemi nazionali.
In Italia da almeno tre decenni il carisma, inteso nel senso weberiano del termine, si è volatilizzato per approdare su altri lidi. L’attuale classe politica, vecchi o giovani che siano i suoi esponenti, è di una mediocrità assoluta e pare non rendersi conto della distanza che la separa dai cittadini. E’ questo uno dei principali motivi che stanno alla base del grande successo di Beppe Grillo e del suo strano movimento, altrimenti inspiegabile.
A chi chiede soltanto di mostrare la carta d’identità si può dunque replicare che sono ben altri i fattori che contano. Da parecchio tempo siamo letteralmente assediati da un’idea che chi scrive trova demenziale, quella che sia sufficiente essere giovani per risultare migliori dei più anziani. Messa in circolo per l’appunto da Matteo Renzi, l’idea ha avuto un successo strepitoso, tanto da diventare il leitmotiv delle sue campagne elettorali, tutte fondate sulla rottamazione di quelli che hanno più anni – ma anche più esperienza – di lui. Non credo sia questa la strada da seguire se si vuole uscire dalla crisi che imperversa: l’età anagrafica conta assai meno delle capacità cerebrali.
Featured image, un falchetto, fonte Wikipedia.
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