Oggi tutti a dire che il gatto si è mangiato i sorcetti, che il democristiano navigato l’ha avuta vinta sui dilettanti allo sbaraglio, e che chi di streaming ferisce di streaming perisce. Con la Lombardi come una postulante che presenta trepida la sua bozza e Letta come un professore bonario con l’alunna secchiona che vuol fare bella figura, o con l’altro improbabile porte-parole della piazza che si avventura nelle perigliose strade dell’autoscuola, tutti, anche quelli in seconda fila, tanto compunti da trasmettere l’impressione di essere davvero congelati nella stessa gabbia che si sono costruiti, quella della consegna grezza e perentoria del più rudimentale sistema di controllo, la diretta senza bisogno della moviola.
La politica ha vinto sul velleitarismo, scrive gongolando Aldo Grasso.
E se la godono, gli opinionisti respinti e rifiutati dai 5stelle, che hanno inseguito e che sono stati umiliati dai ripetuti dinieghi, quanto invece sono stati ammessi, cercati, vezzeggiati, blanditi e corrotti, smentiti e riconquistati dai partiti tradizionale.
È fatta giustizia insomma. Ci voleva un giovane/vecchio democristiano per ristabilire l’ordine, ripristinare le gerarchie esplicite o segrete, lanciare messaggi trasversali alla nuora perché suocera intenda. In un colpo solo si mettono d’accordo il cerchio e la botte e cerchi e tortellini magici, grazie alla coincidenza di intenti di far fuori in una volta, garbatamente, paternalisticamente ma inesorabilmente, gli odiati fantasmi: la rete che preme, lo streaming che imbarazza, Rodotà che viene agitato come il drappo rosso del torero, Grillo che urla, come una minaccia sguaiata e “ingovernabile”, gli occupanti dei circoli, quei segmenti di cittadinanza sul quale, unici, arriva lo sguardo separato e distratto dei “rappresentanti”, che gli altri, quelli più giù, non hanno parola, in tv ci vanno nella veste di “casi umani”, non vedono le streaming, non esercitano vigilanza e non partecipano.
Io invece non ne godo affatto. A differenza di Renzi, non mi accontento che Berlusconi vada in pensione, lo preferisco in tribunale e poi, se ne vengono riconosciute le colpe, in galera. Almeno per quanto riguarda il fronte giudiziario, perché su quello politico, morale e democratico sono meno sobria ed equilibrata. E anche sugli altri “oggetti” sui quali si erano esercitati i tentativi di tirannicidio, senza spargimento di sangue ma irrevocabili. E che non sono riusciti, battuti dai successi di Berlusconi, che da Dallas giubila: di leader ne ha fatti fuori 8, è più cattivo e tenace di J.R.Ewing, sulla cui tomba si è recato a rendere omaggio, o di Bush, quello della fondazione alla cui inaugurazione ha dormito più pesantemente di Crimi.
Ieri quello streaming ha segnato la sconfitta dell’ipotesi tirannicida e ha rappresentato in una perfetta allegoria, la frustrazione democratica: il corpo elettorale disprezza il ceto parlamentare, eppure continua con periodica cadenza a delegargli il potere attraverso il voto. E se poi ne entra a far parte, ne mutua abitudini, si assuefa a privilegi e benefici, che sente come meritati e irrinunciabili.
È un contagio, cui forse è impossibile sottrarsi, una fascinazione che rende la via del potere impraticabile a meno di rinunciare alla virtù, di ridurre il senso della missione, di adattarsi al pragmatico compromesso?
Ieri il politico navigato guardava i nuovi ingressi come una medusa, ipnotico e persuasivo, con la potenza di una “rappresentanza”, la più muscolare e poderosa, quella di chi per nascita, famiglia, affiliazione, fedeltà, sta al comando. E decide chi può stare al suo fianco, essere ammesso alle sue stanze, godere della luce del potere.