Politologi del piffero (amerikano)

Creato il 27 gennaio 2016 da Conflittiestrategie

In un articolo del 2012 che ho trovato in internet (1) intitolato L’era del G-zero si trovava scritto:

<<Benvenuti nel mondo del G-Zero. A coniare questo termine è Ian Bremmer, presidente dell’Eurasia Group e analista politico di lungo corso. Nel suo ultimo saggio Every nation for itself: winners and losers in a G-Zero World (230 pagg, Penguin Group), Bremmer traccia una mappa di quelli che saranno gli equilibri di potere fra le nazioni nei prossimi decenni. E, intrecciando i fili, emerge che dal G-20 si passerà al G-Zero, nel quale non ci saranno nazioni dominanti e dominate, ma tutte avranno un peso analogo. E tutte cercheranno di prevalere sulle altre. «Una guerra commerciale e finanziaria tra vecchi e nuovi poveri è già nata», spiega Bremmer. E non sembrano esserci soluzioni sostenibili per evitarla. Non un caso infatti che «per la prima volta in settant’anni non c’è un singolo potere o un’alleanza di poteri in grado di assumere la leadership globale»>>.

E più avanti

<<Il mondo è cambiato. Bremmer non nega che davanti a noi ci saranno anni difficili, in cui l’individualismo degli Stati prenderà il posto dell’apparente solidarietà di questi ultimi vent’anni. «Non esistono più nazioni capaci di fornire pasti gratis», spiega Bremmer. Il motivo è facile da intuire. Dopo il fallimento di Lehman Brothers, la quarta banca statunitense crollata nel settembre 2008, il contagio è stato globale e ha costretto tutti a un ripensamento delle proprie posizioni nei confronti degli altri Paesi. E, avverte Bremmer, «ormai tutti pensano a se stessi e non si prevedono inversioni di tendenza nei prossimi anni». Ritorno al protezionismo, guerre valutarie, battaglie commerciali: il nuovo mondo è servito>>.

In questi passi si avanza l’ipotesi di una rapida avanzata di uno scenario globale multipolare ma si enfatizza, soprattutto, la presenza – già nella fase attuale – di una situazione di equilibrio (relativo) delle forze tra i maggiori poli predominanti nelle diverse aree regionali. Gli Usa, invece, svolgono ancora in maniera piena il loro ruolo di superpotenza e lo fanno in un modo che l’esimio studioso di cui sopra non è in grado di comprendere. La strategia del caos obamiana teorizzata da La Grassa è, prima di tutto, in grado di mobilitare le forze (economiche, politiche e militari) dei paesi satelliti – in primis l’Europa ma anche altri stati come la Turchia e l’India – in modo da distribuire meglio con gli “alleati” il dispendio di risorse necessario a mantenere la supremazia. Secondariamente, ma non in ordine di importanza, essa agisce alimentando l’instabilità e la “confusione”, creando “spauracchi” come l’Isis e alimentando l’ideologia di un occidente unico garante del pluralismo e della tolleranza socioculturale. In questa maniera – ed utilizzando adesso anche le difficoltà economiche in cui versano i Brics (con l’esclusione, forse dell’India) – gli Stati Uniti stanno controllando la situazione piuttosto bene e riescono a tenere sempre più sotto controllo una Ue divisa, litigiosa, in piena crisi di fronte al problema dei migranti, ancora più subordinata economicamente che in passato, con governi telecomandati da Washington e tranquillizzati dal regresso delle opposizioni “populiste” che sembravano qualche anno fa poter costruire un fronte per una politica autonoma nel vecchio continente. Queste premesse servono ad introdurre un altro articolo(2) in cui il prof. Bremmer, tanto celebrato ed apprezzato, dimostra ancora una volta di essere il tipico analista geopolitico al servizio della potenza dominante e di una politica internazionale che quasi sicuramente seguirà la traccia degli ultimi anni anche nel caso di una vittoria repubblicana alle prossime elezioni.

<<«Nel 2016 è possibile che torni il rischio Grexit la cui possibilità di realizzazione è al 30% a causa delle difficoltà tra i creditori, Fmi e partner europei e governo ellenico. Ma questa volta, (di fronte al quarto piano di aiuti, ndr), gli europei saranno meno capaci di fronteggiare una nuova crisi del debito sovrano». Così a sorpresa, Ian Bremmer, numero uno e politologo di Eurasia group, presentato da Paolo Basilico, presidente e Ceo di Kairos, in occasione della sua visita a Milano per l’incontro con i clienti della società di gestione italiana.

Quanto al Brexit, che seppure non lo ha escluso del tutto, il politologo americano ha puntato a rassicurare che su questo punto l’Europa non dovrebbe avere molti problemi. La questione delle permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea non dovrebbe realizzarsi davvero.

Ma quali sono i rischi geopolitici per il 2016 su cui puntare i riflettori? «Il mercato ha reagito in modo esagerato al declino della crescita cinese perché il mercato cinese è un mercato politico e il governo lo dimostrerà ancora», ha spiegato ai giornalisti in conferenza stampa ieri a Milano, Bremmer, fondatore di Eurasia Group, think tank di politica internazionale. «Tutte le preoccupazioni sui mercati cinesi – sostiene però Bremmer – sono reali ma non per quest’anno, sono di più lungo termine». Anche perché «il Governo cinese ha così tanti strumenti per assicurare la crescita sufficienti a mantenere la stabilità, forse non sarà il 6,9% e magari il numero vero del Pil è più basso. Ma, comunque, una crescita sostenibile e lo sarà per un certo periodo
di tempo».

Il punto di fondo dell’analisi che Bremmer chiama “G-zero” (cioè assenza di una capacità di guida reale di fronte alle sfide di un mondo in tempesta) è che il rischio geopolitico diventa strutturale e in assenza di leadership forti (con l’eccezione della Cina, Russia di Vladimir Putin e l’Indonesia), in Europa e negli Usa gli investitori di fronte alla frammentazione devono guardare e soppesare «più la capacità dei paesi di resilienza (flessibilità di fronte agli shock, ndr) piuttosto che alla dinamica della crescita economica. Vedremo frammentazione se non un’assenza di risposte. A rimetterci è l’Europa, oltre al Medio Oriente, mentre Usa, Cina e Giappone ne saranno preservati. Gli Usa continueranno, invece, ad essere un porto sicuro», ha sottolineato. La geo-politica, che secondo Bremmer in passato forniva piuttosto occasioni di acquisto, adesso invece peserà sui mercati.

In questo quadro turbolento Bremmer non è particolarmente preoccupato della «maggiore migrazione di massa del dopo guerra» che ha colpito l’Europa e il Trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione perché è una minaccia che non colpisce «né Usa, né Cina né Giappone, cioè la prima, la seconda e la terza economia del mondo». La irrilevanza europea né riduce quindi l’impatto a livello globale di un fenomeno molto ampio ma circoscritto. L’Asia, invece, è in piena forma e dinamismo e a preoccupare gli alleati americani è la tendenza di Washington all’isolazionismo. «A Davos ho raccolto l’esigenza di canadesi, messicani, europei e esponenti mediorientali di avere una maggiore presenza militare e diplomatica degli Usa nei rispettivi scacchieri», ha spiegato Bremmer di ritorno dal vertice Wef tra le nevi svizzere. Il problema è che manca una leadership che risponda a questo rischio», ha spiegato Bremmer, che parla della fine del G7 e del G20 e di «un mondo che ormai è G-zero». «Non c’è nessun Paese che voglia assumere un ruolo-guida», gli Usa non sono più disponibili a far il poliziotto del mondo e «si muovono più sul piano unilaterale che su quello multilaterale», ha indicato il presidente di Eurasia Group. «Gli americani sono più preoccupati dei migranti che passano attraverso il confine messicano, del terrorismo dei fondamentali islamici che delle situazione europea», ha ribadito Bremmer. «Quando cadde il Muro di Berlino gli Usa erano più impegnati in Europa ma ora di fronte alla crisi europea dei migranti, del terrorismo islamista e dell’Isis, la potenza americana semplicemente non c’è e in questo vuoto la Russia di Vladimir Putin si è inserita prepotentemente in Siria»>>.

(1)Dal sito www. rivistastudio.com del maggio -giugno 2012 (numero 8 di Studio). L’articolo è stato scritto da Fabrizio Goria.

(2) I rischi di un mondo senza leadership -Vittorio Da Rold – 26 gennaio 2016 – Sole 24 or