Polverose chiome nel mirino di ALMA

Creato il 12 agosto 2014 da Media Inaf

Una l’aveva verde. L’altra se l’era bruciata avvicinandosi troppo al Sole. È delle chiome delle comete Lemmon e ISON che parliamo, le protagoniste – insieme a Pan-STARSS – della ricca stagione cometaria 2013. Mentre le ammiravamo solcare i cieli, mentre ci rassegnavamo a non vedere ISON riemergere dal tuffo nel perielio che le fu fatale, dalle Ande cilene le antenne di ALMA (l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) portavano a termine l’analisi chimica delle loro atmosfere. Il risultato è una mappa in 3D della distribuzione e dei movimenti delle molecole organiche all’interno delle loro chiome. Mappa che aiuterà gli astrochimici a ricostruire come le comete riescano ad assemblare i composti che le avvolgono, molti dei quali costituiscono mattoni fondamentali per la vita.

Per riuscirci, il team di scienziati guidato da Martin Cordiner, del Goddard Center for Astrobiology della NASA, ha combinato immagini ad alta risoluzione (circa mezzo secondo d’arco) delle due comete con gli spettri, ottenuti in corrispondenza di ogni singolo punto delle immagini, di tre importanti molecole organiche: l’acido cianidrico (HCN), l’isocianuro di idrogeno (HNC) e la formaldeide (H2CO). In tal modo, Cordiner e colleghi sono riusciti non solo a identificare le molecole presenti, ma anche la loro velocità: ed è grazie a quest’ultima che sono potuti risalire alla profondità – la “terza dimensione” – delle atmosfere delle due comete.

I dati confermano che le molecole di isocianuro di idrogeno e di formaldeide vengono “assemblate” proprio nella chioma delle comete, e non nel nucleo. Inoltre, suggeriscono che il processo di produzione dell’isocianuro di idrogeno possa consistere nella frammentazione di molecole più grandi, o di povere organica.

«Conoscere la polvere organica è importante, perché si tratta di materiali che, durante un ingresso in atmosfera, sono più resistenti alla distruzione», spiega il direttore del Goddard Center for Astrobiology Michael Mumma, fra i coautori dello studio. «Alcuni potrebbero dunque essere stati recapitati intatti alla Terra primordiale, alimentando così la nascita della vita».

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Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina