di Pierluigi Montalbano
Pompei ed Ercolano erano due città a sud di Napoli, nelle vicinanze della linea di costa dell’epoca, più arretrata rispetto a oggi, sovrastate dal cono del vulcano Vesuvio che domina tutto il Golfo. Il 24 agosto del 79 d.C. il Vesuvio eruttò e le due città furono travolte dalla lava, dal fumo e dalle ceneri che uccisero tutti gli abitanti. Nel corso del 18° secolo gli scavi hanno riportato alla luce i resti delle due città.
Da quando la bellezza del Golfo di Napoli era entrato nell’orbita politica di Roma, intorno al IV a.C., sulle sue coste furono costruite le splendide ville dei senatori romani. Inoltre, il fertilissimo suolo derivato dalla decomposizione del materiale lavico, costituiva uno dei distretti agricoli più ambiti di tutto il mondo antico.
Nel pomeriggio del 24 agosto del 79 d.C., si avvertì una violenta oscillazione del suolo, mentre dalla cima del vulcano si innalzò una fitta colonna di fumo, lava e detriti, a forma di pino. Alcuni giorni prima dell’eruzione, tutti i pozzi d’acqua della città di Pompei si seccarono, tuttavia non si avevano le conoscenze scientifiche per comprendere la gravità di quel segnale della natura.
La storia di quella catastrofe è stata raccontata da un testimone oculare di eccellenza, Plinio il Giovane. Rampollo di una potente famiglia senatoria, era in quel momento a Miseno, a nord del Golfo di Napoli, al seguito di suo zio, Plinio il Vecchio, letterato e autore di una grandiosa Storia naturale, allora comandante della flotta di stanza in quella località. Plinio il Vecchio morì eroicamente cercando di portare soccorso con la flotta agli infelici sfollati a causa dell’eruzione.
Alcuni anni dopo la tragedia, il grande storico Tacito chiese a Plinio il Giovane di raccontargli come era morto il suo celebre zio, affinché egli potesse riferirne nelle sue Storie. Questa parte dell’opera di Tacito non ci è pervenuta, ma possediamo il resoconto che di quegli eventi ci ha lasciato Plinio il Giovane.
Il vulcano eruttò una micidiale miscela di anidride carbonica, zolfo, ceneri e lava che si innalzarono nel cielo, e ricaddero velocemente sulla Terra. Spinte da una leggera brezza investirono Ercolano, Pompei e Stabia, posta sulla costa subito a sud di Pompei. A Ercolano e Stabia le ceneri laviche furono precedute da una nube tossica che uccise gli abitanti, molti dei quali cercarono di salvarsi correndo verso la spiaggia. Il giorno dopo, passata la nube tossica, furono rinvenuti molti corpi e tra questi quello di Plinio il Vecchio, illeso e vestito con gli abiti che aveva quando partì. Il nipote scrisse che il suo aspetto era più simile a quello di un uomo addormentato, che a quello di un morto.
A Pompei il vento sospinse in pochi secondi una palla infuocata di ceneri incandescenti che ricoprì tutto, compresi i poveri abitanti, i cui corpi vennero sepolti nelle pose che avevano nel momento in cui furono raggiunti dalle ceneri. Col passare dei secoli, i resti umani sparirono, lasciando nelle ceneri pietrificate l’immagine in negativo dei corpi. Facendo colare del gesso nelle cavità si sono recuperati dei calchi umani che hanno l’aspetto di statue, fissate nei movimenti che le vittime dell’eruzione stavano compiendo.
La riscoperta di Pompei avvenne nel 1599, ma si dovette aspettare la metà del XVIII secolo perché iniziassero serie indagini archeologiche a Ercolano (1738) e Pompei (1748). Da allora gli scavi si sono succeduti senza sosta facendo. La tragica e improvvisa fine di queste due città è cristallizzata negli edifici, conservati in uno stato che non ha eguali, soprattutto perché l’eruzione ha impedito che il tessuto urbanistico fosse modificato nei secoli successivi.
La pianta di Pompei è tipica di una città romana di età imperiale, con un tracciato non regolare a causa della conformazione accidentata del terreno, ma all’interno della zona urbana il tessuto stradale è regolare, e ruota su due strade principali, il cardine e il decumano, che si intrecciano ortogonalmente con altre strade creando degli isolati che i latini chiamavano insulae. Generalmente è difficile cogliere nel dettaglio l’uso di edifici e locali produttivi, ma a Ercolano e Pompei, invece, si sono trovate insegne di negozi e altri elementi che ne identificano l’uso. La conservazione di numerose suppellettili, ma soprattutto di pitture parietali e di affreschi, ha consentito la conoscenza di numerosi dettagli della vita di ogni giorno di una città romana, nonché della pittura romana.
Lo studio degli affreschi ha portato all’identificazione di vari stili pittorici, chiamati appunto pompeiani, centrali nello studio della storia dell’arte antica. Le pitture pompeiane sono caratterizzate da un ornato molto ricco e vi sono rappresentate scene di vario tipo: paesaggi, battaglie, ritratti, scene mitiche o erotiche.
In un grande edificio di Ercolano, la cosiddetta Villa dei papiri, è stata scoperta una biblioteca. Gli scaffali di legno ospitavano numerosi rotoli di papiro contenenti opere letterarie, molte delle quali sarebbero andate altrimenti perdute. I rotoli sono ovviamente carbonizzati, ma con le più moderne tecniche di lettura a infrarossi e a raggi X è possibile il recupero di porzioni di scrittura. La ricchezza delle abitazioni, l’opulenza delle suppellettili, la spensieratezza con la quale venivano vissute le relazioni interpersonali – si trattasse della pubblicità elettorale di un candidato alle elezioni municipali, la pubblicità di una bottega di calzolaio o quella di un bordello – testimoniano come gli abitanti di Ercolano e di Pompei abbiano vissuto allegramente fino alla loro improvvisa e tragica fine.