Pompei, sesso libero a pagamento

Creato il 16 gennaio 2015 da Vesuviolive

Ostentata, voluta e diffusa, la sessualità antica era vissuta con gran naturalezza. Graffiti, calchi, pitture che adornavano le case di duemila anni fa, ci dimostrano come il sesso fosse tra i piaceri più desiderati dell’epoca. Per intenderci, era un’attività che si svolgeva all’interno di botteghe specifiche, chiamati lupanari con piccole stanze adibite al piacere i cui dipinti e le frasi incise ci danno la certezza che fossero case del piacere. Uomini che lasciavano incisi il proprio ricordo o dediche per comunicare il loro soddisfacimento per quest’attività che era anche e sopratutto praticata dagli imperatori romani. Meretrici e lenocinio: le prostitute e i loro padroni che sfruttavano un’attività  tra le più fruttuose dell’epoca. Esistevano vari “generi” di prostitute e anche i prezzi variavano a seconda delle prestazioni.

Da qualche estratto dell’ “Ex corpore lucrum facere: la prostituzione nell’antica Pompei”, pubblicazione di Pietro Giovanni Guzzo, ex Soprintendente ai beni archeologici di Pompei, e Scarano Ussani Vincenzo, storico del diritto romano, si evince che Pompei è la testimonianza, grazie anche alla presenza dell’unico lupanare presente nella città antica, che si trattava di più di una semplice “abitudine”fisica, ma di una vera e propria società schiavistica che nel I sec d.C. lucrava sul corpo delle donne. Addirittura viene definito “manageriale” l’approccio alla prostituzione da parte dei ricchi, ossia quella classe sociale intorno alla quale girava l’economia della città; la prestazione più economica si aggirava intorno ai due assi, quasi quanto consumare due bicchieri di vino, fino ad arrivare ad 8 assi con le prostitute di alto rango.

Pompei – Lupanare (VII,12,18)

Vere e proprie caste così classificate: le Forariae che esercitavano lungo le strade di campagna, le Copae esercitavano nelle taverne, la Scorta erratica ossia le passeggiatrici vaganti, le Gallinae erano anche ladruncole, le Aelicariae vendevano dolcetti allusivi da offrire a Venere e Priapo, le Lupae attiravano i clienti con un ululato, le Blitidae dal nome di una bevanda a poco prezzo, le Bustuariae “appostate” vicino ai monumenti funebri e ancora le Forariae che esercitavano i piaceri nel foro e le Diabolae, dedite a pratiche inimmaginabili.

E Pompei prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. era la città più importante dell’amore libero! Si contavano più bordelli che botteghe; attività ammessa dall’impero che per tutelare l’economia giornaliera delle restanti attività costrinse l’esercizio della prostituzione solo di sera.  Da qui il nome iniziale di Pompei come di “Colonia Cornelia Venerea Pompeianorum“: la città di Venere, dove era ammesso anche l’amore omosessuale e bisessuale, oltre alla prostituzione femminile e maschile. Ne sono testimonianza oltre alle continue raffigurazioni di Venere in tutte le varie posizioni, le iscrizioni eccitanti ed incitanti al piacere conseguito. E così leggiamo nella zone della palestra  “Qui ho trafitto di brutto la signora…” scrive un anonimo gladiatore, ” Ninfa, fututa; Amomo, fututa, Perenne, fututus ” ossia l’amore sia con donne che uomini, la bisessualità era normalità.

Il miglior esempio di bordello romano è proprio a Pompei. Percorrendo l’insula 12 delle VII Regio scoprirete una piccola struttura divisa in due piani con cinque stanze su ciascun piano: letti in muratura, una latrina (il bagno) e tutt’intorno quadri, dipinti con scene erotiche. Le prostitute erano di solito greche e orientali che dipendevano da un padrone, il lenone del bordello, colui che gestiva gli incontri e le prestazioni in cambio di denaro (l’edificio è degli ultimi periodi della città: in una cella l’intonaco fresco ha catturato l’impronta di una moneta del 72 d.C. – pompeiisites.org).

Poche differenze con la società attuale se pensiamo che i piaceri sessuali sono un’abitudine consueta anche tra i personaggi più illustri ma limitati dalla legge e che comunque rappresentano un gran tabù da sconvolgere spesso l’opinione pubblica. In realtà seguono solo le orme dei loro predecessori. Non stupisce quindi che allora come oggi era simile anche il modo di considerare in maniera diversa gli atteggiamenti degli uomini e delle donne. Un maschio che aveva rapporti con altri uomini era definito uno sporcaccione, mentre la donna una troia, come la femmina del porco, poiché si prostuivano all’interno di case sporche e puzzolenti, proprio come i porcili. Da qui anche il temine di puttana, dal latino “putere”, puzzare. I tempi sono cambiati, ma certe culture dispregiative rimangono ancora antiche.

Alcune iscrizioni ritrovate sui muri dei bordelli:
Hic ego puellas multas futui. “Qui ho fottuto molte fanciulle”
Fututa sum hic. “Qui sono stata fottuta”
Myrtis, bene felas. “Myrtis, tu succhi bene»
Hinc ego nun futui formosam puellam laudatam a multis, sed lutus intus erat. “Qui ho appena fottuto una formosa fanciulla lodata da molti, ma dentro era fangosa”.
(Wikipedia)


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