Sono entrato nello studio della dottoressa, lei mi ha guardato con gli occhi scuri spostando i riccioli dalla fronte, mi ha detto col suo accento israeliano: “Ah, come la vedo dimagrita”. Ho dato un’occhiata alla mia pancia. Non l’ho considerato un complimento, vuol dire che la volta prima deve aver pensato: “Guarda là come sei grasso”. Però non sono dimagrito, almeno non dall’ultima volta che sono andato a farmi visitare nel suo studio. L’ultima volta, e la penultima, la dottoressa ha fatto la solita battuta, mi ha chiesto di ricordarle come mi chiamo, e dopo che le ho detto “Pomella” lei è scoppiata a ridere: “Da noi vuol dire pompelmo”. Stavolta no, non mi ha chiesto di ricordarle come mi chiamo, stavolta ha detto: “Si accomodi pure, Claudio”. Così ho pensato a Claudio, e mi è sembrato di conoscerne tutte le debolezze, i difetti, gli umori, le sue angosce. Io e Claudio ci assomigliamo, è evidente, lui dev’essere giusto un po’ più grasso di me. A ogni modo mi sono seduto, per qualche secondo sono stato al gioco, per qualche secondo mi è piaciuto pensare di essere un’altra persona. Alla fine però ho confessato: “Non sono Claudio. Mi chiamo Andrea”, le ho detto inalberando il mio spirito di vendetta. “Andrea Pomella, si ricorda? Come il pompelmo”. E lei è arrossita.
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