Portami anche i libri, specialmente le pergamene. Umbria e pensieri sciolti.

Creato il 21 agosto 2011 da Unarosaverde

Per sfuggire all’invasione della spiaggia del fine settimana, dicevo nel post precedente, abbiamo programmato tre giorni nell’entroterra umbro: Gubbio ieri, Perugia oggi, Assisi domani. Sono luoghi che avevo visitato parecchi anni fa, di cui avevo ricordi frammentati e suggeriti, probabilmente, solo dalle fotografie.

Di sicuro trenta o venti – accidenti, come scappano – anni fa i negozi erano molto diversi. Dai viaggi con i miei genitori portavo sempre a casa con me qualcosa che poteva essere acquistato solo li’ o che in altri posti, specialmente nei paesi, era piu’ difficile trovare. Per esempio, la mia cartella delle elementari, una Munari blu, veniva diritta da Venezia insieme ai primi tre quaderni Pigna, che avevano sulla copertina bamboline in saggina che non ho piu’ visto in vendita altrove. Il primo astuccio invece era stato comprato a Civitanova Marche. Era come se il piacere del viaggio e la scoperta di nuovi luoghi avessero la possibilta’ di rimanere con me per lungo tempo anche a casa. Adesso in qualunque centro urbano e commerciale d’Italia e’ possibile comprare quasi sempre e solo le stesse magliette, le stesse scarpe e le stesse mutande. E tutti i bambini hanno in identiche cartelle identiche cose. La maledizione del franchising.

Girellare per Gubbio con 35 gradi, a mezza giornata, non e’ stata una grande pensata quindi, questa mattina, abbiamo cambiato strategia e di buonora eravamo ai piedi del Palazzo dei Priori in una Perugia ancora fresca e quasi deserta. Finito il giro all’esterno, compresa la visita all’arco etrusco passando per Via Scoscesa – nomen omen – ci siamo infilati nella Galleria Nazionale Umbra poco prima del mezzogiorno. Lode ai vicoli medievali stretti in cui almeno uno dei due lati della strada e’ sempre in ombra e, in questi giorni di solleone, all’abuso di aria condizionata. Per un paio di ore sono sprofondata al fresco tra il 1200 e il 1500 artistico della regione in un susseguirsi di pale d’altare e crocifissi lignei.

Mi sono seduta per qualche minuto davanti al polittico Guidalotti del Beato Angelico, sia perche’ il pittore mi e’ entrato nel cuore dopo la scoperta dei suoi affreschi nel conventino di San Marco a Firenze, sia perche’ le citta’ umbre arroccate sui colli poco si addicono alla convalescenza post meniscopessi e ogni scranno e’ prezioso. Nel polittico si fa riferimento alla frase che ho citato nel titolo, estratta da una lettera di San Paolo a Timoteo. Mentre me ne stavo li’ a rimirare ho pensato che, girata in chiave moderna, la richiesta ” Quando verrai,…,portami anche l’ebook reader” non evocherebbe probabilmente tutti i millenari sottintesi e rimandi delle pergamene. Chissa’ i nostri discendenti cosa esporranno delle nostre cose nei loro musei.

Sempre persa nelle sale del museo, che conservano, ove possibile, la struttura originaria del palazzo, pensavo che se avessi trovato la voglia di leggere almeno una volta e per intero la Bibbia e Le vite dei Santi forse sarei in grado di cogliere meglio i simbolismi e le particolarita’. In ogni caso, alcune delle opere che ho visto me le sono godute a prescindere dalla mia ignoranza.

A tal proposito mi sono ricordata di un quesito che mi ero posta qualche tempo fa e che rimane per ora senza risposta. Ve lo sottopongo: magari mi aiutate. Qualche estate fa ho trascorso tre settimane in Thailandia, a zonzo, zaino in spalla: le prime due dedicate alla scoperta, l’ultima alla spiaggia. E’ stato il mio primo assaggio di oriente. Dopo aver visto templi, stupe, citta’ sacre e innumerevoli statue di Buddha, nei musei thailandesi prima e in quelli europei poi, sono giunta alla conclusione che, dato che non possiedo il substrato culturale adeguato ne’ la conoscenza di miti e riti asiatici, ogni cosa mi sembra uguale all’altra. Quando vedo i turisti asiatici a spasso in Italia non posso fare a meno di chiedermi se, anche per loro, le nostre chiese e i nostri quadri di soggetto sacro non siano una lunga teoria di cloni di cui non riescano a cogliere le particolarita’.

Nel tardo pomeriggio invece, ero in Santa Maria degli Angeli, in quel di Assisi, e pensavo, in modo assai blasfemo, che la chiesetta della Porziuncola inghiottita dalla grande basilica mi ricorda le matrioske. San Francesco, minimalista ante litteram, forse avrebbe da ridire a vedere una frazione che campa di coroncine di rosario e santini oppure sono io che sbaglio e vedo inviti all’idolatria anche dove non ci sono. Resta una considerazione tra me e l’assoluto: d’altronde la mia idea di religiosita’ non si avventura molto oltre quello che ho gia’ scritto nel secondo post di questo blog. Diciamo solo che mi sono sentita piu’ vicina all’assoluto nella piccolissima chiesa di Eunate di quanto non mi sembri di essere in San Pietro o in un duomo.

Adesso, prima di andare a dormire, dato che sono stanca di fare ragionamenti strani e poco proficui, in compagnia di un dito di vino e tre tozzetti freschi alle mandorle, con Assisi che sembra un presepe illuminato davanti a me, mi mettero’ a leggere. Ho finito la biografia di Turing – interessante ma densa – e sono passata a ” Il libro dell’ignoto” di Jonathon Keats, marito della traduttrice Silvia Pareschi, blogger di ninehoursofseparations – link nel blogroll. Allora, anche qui parto da una situazione di abissale ignoranza: di quanto si rifa’ alla cultura ebraica conosco solo qualche testimonianza sullo sterminio e le storielle di Moni Ovadia. Non sapevo quale fosse il contenuto del libro perche’ ho evitato di leggere le recensioni e i commenti per affrontarlo senza condizionamenti. Sono arrivata a meta’: ogni capitolo, ognuna delle storie di un Giusto, mi regala suggestioni, fiabe e parole nuove.

Arriva un altro pensiero molesto: da qualche parte, la prossima settimana, devo trovare lo spazio per i compiti di tedesco…lo scaccio e riparto dalla storia di He, la clown.


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