Porti e approdi della Sardegna antica.
Il
Alfonso Stiglitz: il golfo di Cagliari
E' in corso la rassegna organizzata dall'Associazione Italia Nostra Onlus, che vede la partecipazione di alcuni archeologi su temi riguardanti porti e approdi antichi nell'isola (vedi locandina nell'immagine). Ho assistito ai primi incontri e ho pensato di regalare ai lettori che non sono potuti intervenire, la sbobinatura delle relazioni, scusandomi fin da ora per la presenza di qualche piccolo errore, dovuto a mia imperizia per la difficoltà di trasformare il "file" registrato in "file" leggibile.
Per raccontare la storia dei porti e degli approdi del Golfo di Cagliari, dovremmo partire dai primi insediamenti del VI Millenno a.C. a Capo Sant’Elia, passare per la storia delle saline e arrivare fino ad oggi, ma restringiamo il campo al I Millennio a.C. così da avere un quadro preciso del periodo più importante per la marineria. Descriviamo la grande trasformazione che ci fu a Cagliari all’inizio dell’età romana quando fu l’unica città in Sardegna a spostarsi. Questo spostamento urbano è legato proprio allo spostamento del porto.
Quando parliamo del Golfo di Cagliari, dobbiamo tenere presente la percezione antica, ben diversa da quella moderna, sia perché abbiamo un occhio diverso, sia perché il Golfo ha avuto delle modifiche, sia perché la navigazione antica ha avuto cambiamenti rilevanti rispetto a oggi, e ragionare con le tecniche di navigazione attuale ci porterebbe a fare degli errori di valutazione.
I confini del golfo sono descritti dal più antico portolano conosciuto, il “compasso da navigare” del XIII secolo, e vanno da Capo Carbonara a Capoterra. Se anziché questa percezione medievale del Golfo, avessimo una percezione contemporanea, saremmo portati ad ampliarlo fino a Capo Spartivento. Tolomeo, un autore di epoca romana, nella sua “Geografia” pone il Golfo di Cagliari dopo il promontorio di Cagliari, ossia da capo Sant’Elia a Capo Carbonara. Abbiamo quindi una percezione del golfo ben diversa a seconda del periodo esaminato.
Il Golfo si pone all’interno del canale di Sardegna, una sorta di gigantesco fiume che attraversa il Mediterraneo, un’autostrada marittima che dall’antichità era intensamente frequentata. Era un punto privilegiato in cui le navi si appoggiavano per tutte le operazioni di carico, scarico e rifornimento, una tappa obbligata per i naviganti. Non è un caso se la città più importante della Sardegna sia proprio Cagliari. Il golfo è chiuso ai due lati dai due complessi sistemi montani del Sarrabus a oriente, e del Sulcis a occidente. Convogliavano l’attenzione del navigante verso il centro, ossia a Cagliari e verso la pianura del campidano che unisce il golfo a quello di Oristano, dove non a caso è ubicata Tharros. Lo stagno di Santa Gilla come lo vediamo oggi è differente dallo spazio geografico dell’epoca, e dal punto di vista morfologico possiamo affermare che è coinvolto in un dinamismo che trasforma continuamente la linea di costa.
Cagliari è situata alla base della lunga penisola di Capo Sant’Elia, caratterizzata da un duplice allineamento di colli. Durante l’edificazione della città punica, questo allineamento ha condizionato la maglia urbana fino a fargli assumere una direzione da nord-ovest verso sud-est. La penisola di Capo Sant’Elia determina due ampi golfi marini che sono andati colmandosi nel tempo grazie alla formazione di cordoni sabbiosi e spiagge, con il Poetto e Quartu a oriente, e Is Arenas e Santa Gilla a occidente.
Nella laguna di Santa Gilla sfociano due fiumi importanti, uno dei quali solca quasi tutto il Campidano: il Riu Mannu nasce vicino a Barumini, mentre l’altro, il Cixerri, arriva dal Sulcis. Questi due fiumi hanno determinato sia la conformazione del Campidano, sia il cambiamento della morfologia della laguna dove arrivano a mare. Circa 18.000 anni fa il mare era circa 100 metri più basso e la laguna era una piana. I due fiumi sfociavano a largo e l’alveo, profondo circa 50 metri, attraversava l’attuale laguna. Il trasporto del materiale alluvionale, quando la corrente del fiume incontrava le onde del mare, si fermava alla foce e determinava la situazione che oggi possiamo vedere a La Playa, con la formazione di dune e banconi sabbiosi. Questo impaludamento è avvenuto in epoca recente perché i fenici, giunti intorno al VIII a.C., vanno ad insediarsi proprio nella laguna di Santa Gilla, dove oggi troviamo il supermercato Auchan. Oggi una nave non arriverebbe lì, ma all’epoca il fondo marino era più profondo. In quella zona ci sono anche tracce di insediamenti nuragici, e ciò suggerisce che la situazione all’epoca doveva essere molto diversa dall’attuale, con un canale navigabile fra Auchan e Sa Illetta. Tra il periodo fenicio e quello romano la zona si è impaludata, e in età romana la città si sposta proprio per la differente situazione morfologica che non consentiva più alle navi di percorrere il canale.
Cagliari fenicia si colloca nell’attuale zona di Sant’Avendrace, alle pendici occidentali del sistema collinare di Tuvixeddu-Tuvumannu, con il porto vicino alla centrale elettrica e alla città mercato di Santa Gilla. La zona è ricca di acqua dolce, infatti vicino al mercato di Via Pola c’era il pozzo più importante della città dove, ancora nell’Ottocento, sgorgava l’acqua. Si tratta di una zona ideale per il posizionamento di una città. Tutto il riempimento di Campo Scipione, nella zona della ferrovia, è moderno, post Settecento. Precedentemente era un’area lagunare e, ancora prima, c’era il mare. L’ansa nella quale era situato il porto fenicio, e precedentemente quello nuragico, si trovava sulle sue rive, al di là delle ferrovie, al bordo di Via Sant’Avendrace. In Viale Trieste c’è ancora la chiesa dei pescatori denominata “sulla sponda del mare”. Davanti alla ferrovia, dove c’è la curva per il Viale La Playa, c’era un promontorio, “Punta Sa Perdixedda”, nel quale in epoca medievale si svolgevano le esecuzioni capitali. Nelle immediate vicinanze della stazione ferroviaria, fino agli anni Trenta, precisamente fra Campo Scipione e Punta Sa Perdixedda, si trovavano ancora le saline, oggi è possibile vederle nelle foto aeree dell’epoca. Dove oggi ci sono i portici di Via Roma, fino all’Ottocento si trovava una spiaggia sassosa, e nell’incrocio fra Via Roma, Via XX Settembre, Via Sonnino e l’inizio di Viale Bonaria, si trovava un promontorio con il mare che circondava tutto l’incrocio. La sede del Banco di Sardegna poggia i piloni delle fondamenta sul mare, e dove si trovava la vecchia stazione delle ferrovie complementari c’era un’area marina e il golfo entrava fino al colle di Bonaria. Furono i romani a proiettare una banchina portuale verso l’esterno. I lavori di bonifica nella zona di Bonaria hanno dato vita all’attuale porticciolo di Su Siccu. Il mare occupava anche la zona dove oggi troviamo lo stadio di Sant’Elia, e a bordo mare si trovava anche lo Stadio Amsicora, dove c’era il confine delle saline.
C’erano tre promontori che delimitavano la penetrazione del mare: uno era Monte Mixi, dove oggi sorge il palazzetto dello sport; un altro era dove c’è la salita che porta alla chiesa di Bonaria; e infine quello dove si trova il lazzaretto, a Sant’Elia. Tutto il quartiere di Sant’Elia è costruito sul riempimento del mare. Questa situazione è cambiata solo all’inizio del Novecento, con le bonifiche e l’urbanizzazione della città.
Cagliari è un approdo con caratteristiche ottimali: presenta riparo al vento, è al centro del golfo e dell’autostrada marittima che attraversa il Mediterraneo, ha le saline naturali, una ricca piana cerealicola, una laguna pescosa, è vicina a risorse minerarie come rame, argento, ferro e piombo. Uno degli indicatori a nostra disposizione per ricostruire la storia del porto di Cagliari sono i toponimi. Il più antico si trova nella Stele di Nora, databile alla fine del IX a.C. e recante nella terza riga un complemento di luogo “(in, da, a ) Shrdn”, ossia “in Sardegna”. Non sappiamo se indicasse l’isola o il Golfo di Cagliari. Nel Santuario di Antas abbiamo tre antiche iscrizioni che portano un altro toponimo: Krls. I suffeti della città di Cagliari fecero delle dediche alla divinità e possiamo leggerle come Karalis o Karales. Purtroppo i fenici, come gli altri semiti, non scrivevano le vocali, quindi ci sfugge la pronuncia esatta dei termini. Secondo alcuni linguisti, la radice mediterranea Krl dovrebbe indicare la parola pietra, o roccia, che noi traduciamo come “promontorio”. Si tratta, dunque, di indicazioni topografiche. Abbiamo anche attestazioni romane, una delle quali è di Tolomeo e riporta “litus ventosum” (spiaggia ventosa) e si riferisce alla zona fra Capoterra e Capo Sant’Elia.
Un secondo indicatore su porti e approdi è certamente l’importazione, perché da ovunque arrivino, le merci vanno sbarcate in un approdo. I più antichi reperti micenei scavati in Sardegna sono stati trovati a Nora, ma le importazioni, che avvengono a partire circa dalla seconda metà del II Millennio a.C., continuano durante tutto il I Millennio a.C. con prevalenza di provenienza dalle zone di influenza orientale.
Fino a qualche decennio fa avevamo una visione dei fenici come un popolo che arrivava in una terra sconosciuta, come avvenne con Cristoforo Colombo in America. In realtà queste navigazioni nei due mediterranei, quello orientale e quello occidentale, costituiscono solo una delle frequenti rotte marine che da millenni vengono percorse per i commerci. Le frequentazioni hanno il loro centro in una civiltà ben conosciuta, ricca e articolata, quella nuragica. I porti nuragici sono i terminali privilegiati di questi contatti con l’esterno. I nuraghe che vanno da Capoterra a Sinnai e fino alla riva del mare, come quello di Diana a Is Mortorius, testimoniano la presenza capillare dei nuragici lungo tutta la costa. La più antica presenza di questo rapporto con l’oriente, che culminerà con l’arrivo dei fenici, l’abbiamo nel profondo interno della laguna di Santa Gilla, non sulla costa. Da un ambito votivo scavato fra Decimoputzu e Uta proviene la testa di una statua micenea, con un elmo che riproduce le zanne di un cinghiale, un prodotto di lusso di ambito orientale acquisito da un personaggio nuragico. Vicino alla strada 131, all’altezza del doppio ponte che collega Cagliari a Monastir, da una tomba collettiva di San Sperate (Su Fraigu), contenente centinaia di deposizioni, arriva un sigillo cilindrico che arriva da Cipro o dalla costa orientale.
Davanti al nuraghe Antigori di Sarroch doveva esserci un grande approdo perché gli scavi hanno restituito una buona quantità di materiale miceneo proveniente da Creta, dal Peloponneso e da zone limitrofe. Seguendo la via del Rio Mannu, troviamo una serie di insediamenti, da Monastir a Barumini, che parteciparono certamente alla diffusione dei materiali provenienti dal commercio nei porti. Un altro prodotto orientale è il rame, in forme a “pelle di bue” (lingotti ox-hide), proveniente dalle miniere cipriote e facilmente trasportabile in lingotti da 30 a 50 kg provvisti di manici. Le analisi del metallo forniscono una provenienza cipriota, ma la fabbrica poteva essere in Siria perché l’unica fabbrica fino ad oggi scoperta per queste tipologie di manufatti si trova nel porto di Ugarit. Una discreta quantità di questi manufatti è presente in Sardegna, soprattutto nell’entroterra del Golfo di Cagliari. A largo di Capo Malfatano è stato rinvenuto un relitto contenente questi lingotti. La via di questi lingotti è segnata da approdi che da oriente vanno verso occidente, fino al relitto di Formentera, nelle isole Baleari. È una rotta che partendo da Cipro porta questi naviganti del grande ambito miceneo fino alla penisola iberica, poco oltre le Colonne d’Ercole a Gibilterra, ed è testimoniata anche dalle ceramiche presenti nei siti di approdo.
Non avendo una carta con porti e approdi dell’epoca, dobbiamo ricorrere ad un terzo indicatore: i santuari costieri. Nell’antichità la navigazione è sempre legata a una divinità, e ancora oggi, soprattutto in ambito cristiano, abbiamo la Madonna, considerata protettrice dei marinai. I santuari sono anche luogo di commercio, con la divinità che fa da garante alla correttezza degli scambi. Vicino alle spiagge e agli approdi si nota spesso la presenza di santuari nuragici, con pozzi sacri, fonti sacre e altre tipologie di templi. Nel Golfo di Cagliari questa presenza è poco visibile, ma qualche indizio c’è, come la fonte “Mitza Coperta” di Solanas, vicino a un torrente che sbuca in un’area che Bartoloni indica come un approdo. Anche Cuccuru Nuraxi di Settimo San Pietro, dopo gli scavi di Atzeni negli anni Cinquanta, ha mostrato un importante pozzo sacro che si vede dal Golfo, pertanto le imbarcazioni di passaggio potevano facilmente individuarlo. Anche in questo sito troviamo materiali di importazione. Con l’arrivo dei fenici si inizia ad avere un quadro storico più consistente. Ad esempio a Cuccurudus di Villasimius, alle foci di un torrente, si trovano le tracce di uno scalo portuale e, nel promontorio che termina sullo scalo, si trovano strutture nuragiche e un santuario del VII a.C. legato alla Dea Astarte, una delle divinità fenicie legate alla navigazione e ai marinai. I reperti scavati si trovano nel museo di Villasimius, e fra essi si trovano delle cretule che sigillavano i documenti, come d’uso per le carte diplomatiche fino ad epoca medievale. Ciò significa che in questo tempio si svolgevano anche attività a livello diplomatico, commerciale e politico. Le importazioni sono di tipo greco, corinzio e fenicio, ma vi sono anche oggetti votivi. Il santuario cessa la sua attività bruscamente verso la metà del VI a.C.
A Cagliari abbiamo un iscrizione che attesta un tempio di Astarte su Capo Sant’Elia. Attualmente il sito è in fase di scavo e l’iscrizione riporta anche una seconda parola con delle lettere che legano il santuario a Erice, dove si trova un santuario di “Astarte Ericina” legato alla prostituzione sacra, tuttavia l’iscrizione potrebbe essere anche una dedica ad “Astarte Madre”. Nell’area si trovano delle grandi cisterne, simili a quella più piccola che si trova vicino al tempio monumentale di Tharros, con una raccolta d’acqua utilizzabile per i riti e come deposito. Vicino alla chiesa di Sant’Elia, recentemente sono stati portati alla luce frammenti di mosaici, iscrizioni antiche, pavimenti e intonaci ma lo scavo è superficiale e bisognerà attendere qualche tempo per avere risultati soddisfacenti.
I fenici avevano una divinità principale per la navigazione, il dio Melkart, colui che insegnò la navigazione e li guidò in tutte le colonizzazioni. Vari templi di Melkart caratterizzano le tappe degli approdi fenici, e tutti i siti fenici d’oltremare pagheranno per vari secoli una decima al tempio di Melkart di Tiro. Tutti questi templi presentano le due colonne negli ingressi, denominate Colonne d’Eracle, da Cadice al Marocco e alle altre colonie. Anche a Cagliari c’era un tempio di Melkart, e si trovava nell’area del porto. I reperti trovati sono un’iscrizione con dedica al dio e una grande statua in pietra del demone egiziano Bes, una divinità benefica, che riporta l’iscrizione di Melkart. Sono stati trovati anche elementi architettonici che riportano ad un’area templare. La fondazione di Cagliari da parte di queste genti orientali vede dunque attestate due divinità: Melkart nel punto di approdo e Astarte in prossimità del promontorio di Capo Sant’Elia, forse con funzione di faro. Ancora oggi alla base di questo ampio promontorio c’è il santuario dei marinai: Nostra Signora di Bonaria.
Dopo gli indizi arriviamo alle strutture più consistenti. Iniziamo dal tessuto urbano con un porto importante. La città è legata all’arrivo dei fenici intorno al IX a.C., ma questi commercianti trovano l’area densamente popolata da comunità nuragiche residenti in nuovi insediamenti, visto che nuraghe non se ne costruivano più. In questi villaggi del Golfo di Cagliari si è iniziato a trovare un consistente numero di materiali di importazione, così come avviene in tutti i principali siti della costa, da Sant’Imbenia a Tharros e giù per la costa fino a Cagliari. Venne a crearsi un mondo che faceva proprie le due culture, orientale e indigena. Questa integrazione è alla base della cultura sarda.
A Settimo San Pietro c’è una capanna dell’VIII a.C. che mostra l’incontro di queste genti, con i fenici che vanno ad integrarsi in un mondo già evoluto. Anche a Monastir e San Sperate si notano forti segni di intreccio culturale, con vasi nuragici decorati come quelli greci. Alla fine del VII a.C. a Cagliari inizia un processo costruttivo con edifici di tipo fenicio, scavati da Tronchetti in Via Brenta quando vennero posti i piloni per la strada, in occasione dei lavori per i mondiali di Italia ’90. Da quel momento inizia l’avventura urbana di Cagliari e, a partire dal VI a.C., Cagliari diviene città principale della Sardegna. Nei futuri scavi in quella zona, quando sarà ristrutturato l’ex-mattatoio, certamente si ritroveranno le strutture fenicie e bisognerà porre la massima attenzione nelle operazioni con gli escavatori. In sostanza nel VI a.C. abbiamo un tempio, lo scalo portuale, varie cisterne per l’approvvigionamento idrico, l’abitato nella zona di Sant’Avendrace, la grande necropoli di Tuvixeddu-Tuvumannu che fa da confine occidentale alla città, il tophet nella zona della ferrovia e un tempio nella zona dell’Annunziata, a confine esterno della città.
Tuvixeddu è la più grande necropoli punica visibile al mondo, il colle copre circa 70 ettari, il parco urbano archeologico è di 20 ettari. Viale Merello e Via Is Maglias erano già utilizzate come strade nell’antichità, e costituivano una valle naturale tra la cima di Tuvumannu e la cima di Tuvixeddu. Probabilmente si trattava di una via funeraria perché vi si aprivano delle tombe a camera puniche, qualcuna ancora visibile come quella vicina alla facoltà di ingegneria. La necropoli si estendeva dalla salita di Buoncammino, proseguiva in Via Is Maglias, girava in Via Montello e in Via San Donà, sotto la casa delle “ancelle della Sacra Famiglia”, nel costone roccioso si notano alcune tombe puniche a camera. Tutto il fronte di Tuvixeddu, da Via Bainsizza verso Viale Sant’Avendrace, è utilizzato intensamente con le tombe a fossa, pozzo e camera. Sono tombe caratteristiche che scendono fino a circa 8 metri. Simili a quelle di Cartagine, che però arrivano fino a 30 metri. I pozzi sono spesso decorati con false porte, simboli religiosi, pitture geometriche con strisce parallele o che si intersecano, divinità e simboli di Tanit. Alla base del pozzo si aprivano le camere, da una a tre, e ciò suggerisce che fossero grandi tombe familiari. Una caratteristica che ritroviamo anche nelle tombe di Sant’Antioco e di Monte Luna di Senorbì, è la grande quantità di tombe dipinte direttamente sulla roccia, anche se in qualche caso è presente l’intonaco. Il colore delle pitture è generalmente il rosso ma si trovano anche altri colori.
Al margine della città c’era un tempio la cui struttura è ancora visibile sotto l’agenzia viaggi Orofino, in Viale Trento. L’iscrizione trovata agli inizi del Novecento vicina alla chiesa dell’Annunziata è descritta la costruzione di un tempio fatto con grandi pietre. È stata trovata anche la mano di una statua con un’invocazione a Eshmun, la divinità fenicia che i greci chiameranno Asclepio, e i romani Esculapio, quindi si tratta di un tempio in collina, ai margini dell’abitato, dedicato alla salute e alla medicina. A partire dal IV a.C. viene a formarsi nella città un quartiere periferico. Un nucleo abitativo con un altro tempio contrassegnato da un’iscrizione a Baal Shamen, il massimo dio fenicio che sovrintendeva agli agenti atmosferici. La dedica è di un certo Bomilcare, figlio di Annone, verso Baal Shamen di Inosim, ossia Carloforte o l’isola di San Pietro. Per i greci l’isola era "Hieracon Nesos" e per i romani "Accipitrum Insula" (Isola degli sparvieri, o dei falchi). Si tratta dunque di una dedica per una divinità che aveva un tempio anche a Carloforte, probabilmente dove oggi si trova l’osservatorio meteorologico. È possibile che l’iscrizione provenga dall’area della chiesa di Sant’Eulalia perché lì si trova un luogo sacro che ha restituito tracce riferite al III a.C. Siamo alla sommità del promontorio che scende fino all’insenatura che arriva fino al Banco di Sardegna. Questo altro abitato è attestato da una grande necropoli che inizia all’incrocio con Via XX Settembre e arriva fino alla “scala di ferro” in Viale Regina Margherita. Forse si tratta della necropoli dei marinai della flotta. L’abitato era in prossimità del porto, nella zona di Vico III Lanusei perché negli scavi sono stati trovati un edificio romano e una grossa discarica di materiali fenici databile dal VI a.C. in poi. Il porto resterà in attività fino a tempi romani, con un braccio che arrivava fino a Via Campidano. Questo molo era costruito con blocchi in pietra che poggiano direttamente sulla posidonia, quindi è stato costruito riempiendo un tratto di mare.
Ci dovrebbe essere un terzo nucleo abitativo, attestato da una terza necropoli, quella di Bonaria, dove durante i lavori per la realizzazione della scalinata sono state trovate delle tombe puniche identiche a quelle di Tuvixeddu. Forse si trattava di un abitato connesso allo sfruttamento delle saline di San Bartolomeo. In sintesi avevamo una situazione con tre nuclei abitativi, tre necropoli e due porti. Perché i fenici intorno al IV a.C. sentirono la necessità di creare un altro porto satellite? L’unica ragione esistente è che il primo porto, quello di Santa Gilla, abbia iniziato a presentare problemi di navigazione, soprattutto con l’ingrandirsi delle navi e con l’aumento del pescaggio della chiglia. È un fenomeno che andò ampliandosi, tant’è che in età romana repubblicana, intorno al II secolo a.C. scompare tutta l’area abitativa nella zona di Via Brenta e Sant’Avendrace, e il colle si trasforma in area funeraria. Contemporaneamente nella zona di Piazza del Carmine, che sarà poi foro in età romana imperiale, compare un tempio di tipo italico in Via Malta, dietro le attuali poste centrali. Era il tempio della nuova comunità cagliaritana romana che vede l’arrivo di molti italici. Il tempio è il fulcro del nuovo centro e possiamo dunque affermare con sicurezza che la città si era spostata. In questo tempio sono stati trovati cocci con delle iscrizioni puniche e latine, a dimostrazione che la comunità punica cagliaritana si era inserita nella nuova comunità romana e condivise la costruzione di questo nuovo tempio. La struttura è forse riprodotta in una moneta che ha sul retro il tempio di Via Malta e sulla parte principale presenta due volti, quelli dei suffeti, ossia i magistrati punici. In pieno potere politico romano, la comunità punica partecipa attivamente al governo della città. Evidentemente il mondo dell’epoca era molto complesso, con luoghi dove i due popoli si scontravano, e altri dove le comunità diverse si alleavano e collaboravano. D’altro canto la capitale punica d’Occidente, Cadice, si alleò proprio con i romani contro Cartagine. Nessuna altra città sarda si è spostata, quindi l’unico motivo fu l’impaludamento del canale navigabile e dell’antico porto di Santa Gilla. A Nora e a Tharros, infatti, il centro romano si trova sopra quello punico.
Nelle immagini: le saline e la locandina degli eventi.