Portrait di Joyce Lussu

Creato il 02 marzo 2012 da Nasreen @SognandoLeggend

Gioconda Salvadori Lussu, nota come Joyce, nasce a Firenze da genitori marchigiani, entrambi con ascendenze inglesi. Joyce vivrà all’estero gli anni dell’adolescenza, in collegi e ambienti cosmopoliti, maturando un’educazione non formale, ispirata agli interessi della famiglia per la cultura, l’impegno politico, la propensione al dialogo e ai rapporti sociali, che in seguito si confermerà con il suo lavoro di traduttrice di poeti rivoluzionari del Terzo mondo, testimoni della cultura orale di diversi popoli. Tra questi in particolare Nazim Hikmet, ma anche Agostinho Neto e Jalal Talabani.

Sito: http://www.joycelussu.info/

Titolo: Portrait
Autore: Joyce Lussu
Edito da:  L’asino d’oro
Prezzo: 12 €
Genere: Autobiografia
Pagine:  p. 150
Voto:

 

Trama: L’ironica e spregiudicata autobiografia di una donna irriducibile.
Dalla Firenze degli anni Venti alla Heidelberg di Jaspers, dalla clandestinità alla guerra antifascista, dall’incontro con il grande patriota Emilio Lussu ai viaggi alla ricerca di poeti da tradurre, da Giustizia e Libertà al ’68, dalle lotte femministe a quelle del popolo curdo e infine a quelle ambientaliste. La storia di una donna che non voleva essere considerata speciale, ma ha anticipato ogni tempo. La storia di una donna che con parole semplici, sincere, spesso forti e disarmanti, fa riflettere su questioni pubbliche e private, sulla guerra, la politica, la religione, su realtà importanti e profonde come il rapporto uomo-donna e il rapporto genitori-figli.
La storia di «una donna per» ovvero «costruttiva, generosa, capace di vedere il lato positivo e le possibilità della vita», come scrive Giulia Ingrao nella sua Prefazione.

Recensione
di Debora

Essere donna l’ho sempre considerato un fatto positivo, un vantaggio, una sfida gioiosa e aggressiva. Che cosa c’è da invidiare agli uomini? Tutto quello che fanno lo posso fare anch’io. E in più posso fare anche un figlio.

Joyce Lussu Salvadori, Padre Padrone Padreterno, 1976

Già la copertina del libro molto sobria e seriosa vi anticipa che questo non è un libro da leggere per passarsi una serata sul divano in leggerezza. Devo dire che non è stato semplicissimo leggerlo perché tratta di argomenti di cui ammetto non essere molto ferrata. Joyce Lussu essendo una donna molto attiva racconta le sue esperienze che sono molto spesso politiche. E poi c’è molta storia perché non si può spiegare la politica senza la storia. Leggere questo libro è stato un’occasione per andare a riprendere dei periodi storici che, ammettiamolo, a scuola non ci vengono forse insegnati nella maniera giusta. O meglio, ci vengono date solo alcune versioni, le più semplici, le più accettate.

Questa è un’autobiografia di una donna culturalmente e politicamente molto attiva; fin dall’infanzia è stata influenzata dall’educazione e dall’esempio dei genitori, persone molto colte e che tenevano in grande considerazione l’educazione culturale della figlia. In casa loro molti, moltissimi libri.

La protagonista, la stessa autrice del libro, racconta di un periodo storico intenso e sofferente, il nazismo, di cui è stata spettatrice attiva. La cultura dei genitori, e la sua di conseguenza, le ha permesso, a mio parere, di essere dentro gli eventi storici e politici in maniera più consapevole. Joyce è una donna attiva, combatte nelle guerriglie assieme agli uomini; non è di certo una di quelle donne  che incitano i loro uomini ad andare a combattere ma che poi rimangono chiuse in casa ad aspettare senza fare nulla di concreto, se non preparare il pranzo e accudire i figli.

La nostra protagonista si innamora poi di Emilio Lussu, un avvocato, scrittore, leader politico e leggendario combattente; figura di grande rilievo della cultura sarda e italiana.

Egli nacque ad Armungia nel 1890 da una famiglia di piccoli proprietari terrieri e gli fu impartita un’educazione di tipo tradizionale. Si laureò a Cagliari in giurisprudenza. Partecipò alla prima guerra mondiale come ufficiale di complemento della Brigata “Sassari”, distinguendosi per lo straordinario coraggio, l’umanità ed il grande carisma. Si schierò apertamente contro il fascismo, del quale criticava l’atteggiamento repressivo verso le sinistre, l’uso della violenza nell’esercizio del potere, l’essere esso uno strumento del capitalismo settentrionale. Quindi un’altra figura nella vita di Joyce politicamente e culturalmente molto attiva di cui sicuramente subisce le influenze. Con lui vivrà poi in clandestinità nella lotta antifascista. 

Lei come donna desidererebbe una famiglia, un figlio, ma si trova alle prese con molte domande esistenziali; come mettere al mondo una creatura in  una società così violenta, che va degenerando, dove non si ha più la libertà di esprimere idee diverse da quelle dei fasci? Questi pensieri le danno un senso di impotenza e di fragilità. Ma poi si fa coraggio e affronta le felicità della maternità.

Joyce inoltre non vuole essere additata come la moglie di Emilio Lussu, non vuole avere privilegi, essere giudicata a priori, essere l’ombra del marito, ma vuole essere riconosciuta per quello che è veramente. Trova così la sua strada nella poesia ed allo stesso tempo si dedica al diverso; viaggerà per il mondo con organizzazioni internazionali della pace e con movimenti di liberazione anticolonialistici. Per conoscere le situazioni storico-culturali del “diverso”, si occuperà della poesia lontana ed, in un certo senso, estranea all’antica cultura dell’Occidente. Una donna che faceva tutto questo, che si impegnava in questi valori, era veramente rara. E visto che voleva essere ricordata per la poesia non possiamo non omaggiarla con questa veramente toccante:

Scarpette rosse 

C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”;
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald;
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchewald;
servivano a far coperte per i soldati;
non si sprecava nulla,
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nella camere a gas;
c’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald;
erano di un bambino di tre anni
forse di tre anni e mezzo;
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni,
ma il suo pianto lo possiamo immaginare:
si sa come piangono i bambini;
anche i suoi piedini li possiamo immaginare:
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità,
perché i piedini dei bambini morti non crescono;
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove,
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.

Joyce Lussu


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