Inizialmente accattivante, Posh si perde per strada e ostenta degli enormi buchi di sceneggiatura che derivano dal riadattamento realizzato da Laura Wade, colei che ha creato e messo in scena, l’opera teatrale.
Un gruppo di ragazzi viene ammesso a Oxford, l’università più prestigiosa del mondo. Qui è stato fondato il Riot Club, un club prestigioso che accoglie solamente dieci membri (necessariamente di ottima famiglia), destinati a divenire delle “fottute leggende”. I nuovi ammessi sono Miles e Alistair; il primo è un ragazzo accomodante e dalla mentalità aperta, che lo porta a fidanzarsi con Lauren, una ragazza che non ha la sua formazione aristocratica, mentre Alistair è un rabbioso giovane che vive all’ombra di suo fratello, vera leggenda del Riot Club.
Definizioni di posh: elegante, chic, di lusso, alla moda, snob. Peccato che il film diretto da Lone Sherfig non sia né chic, né elegante e né alla moda. Difatti Posh è una pellicola che mette in evidenza tantissime voragini strutturali e narrative. Ciò che accadeva sul palco (la cena) viene allungato, modellato e rimpolpato. Difatti il riadattamento nasce dall’esigenza di strutturare più dettagliatamente due personaggi (novizi, ma caratterialmente opposti), di dare loro un puntuale background e di seguirne atteggiamenti, adattamenti e reazioni all’interno del Riot Club. I due protagonisti (figli di papà, ma con attitudini diverse: Alistair è rabbioso, mentre Miles è gentile e tollerante) vengono iniziati, condotti all’interno dei salotti di potere, presentati a delle compagnie dalla viziata e arrogante rilevanza. È questo il campo d’interesse della regista danese, che mette in scena la gioventù aristocratica senza peli sulla lingua e con ardore inquisitorio. Tuttavia Posh si rivela una pellicola accattivante (ma effimera) nella prima parte, sufficientemente ben costruita, e ricorda diversi prodotti sulle confraternite statunitensi (con tutti i loro limiti demenziali) per poi esagerare, sbraitare, urlare e distruggere tutto durante una cena. Gli sproloqui di Alistair e il suo cinico e spietato atteggiamento nei confronti della vita sono contrappunti di una compagine di tronfi ragazzini, che si aspettano e pretendono di fare qualsiasi cosa e che inveiscono nei confronti della media borghesia, ovvero le “cavallette” approfittatrici sulle spalle dei potenti “giganti”.
Tuttavia si ha l’impressione che Posh non suggerisca nulla, non trovando la giusta direzione per esibire la spocchia dei figli di papà senza esasperare il tema. Il risultato è un film per tutti (che rasenta il teen movie), che sottolinea il problema, ma non ne trova una soluzione, che condanna il riottismo, che mette in fila una serie di personaggi accattivanti, ma profondamente detestabili. Una pellicola fine a se stessa su cui è calata la mannaia della censura, che ha imposto l’eliminazione delle sequenze più crude e violente. E ciò è stato sicuramente un atto che ha fatto perdere forza al film della Sherfig, che si rivela edulcorato e profondamente fasullo. Insistere sul tema originario, proprio come era successo a teatro, ed evitare lungaggini in presentazioni dei personaggi poteva essere una scelta coraggiosa e controcorrente. Difatti la scena della cena (che divora buona parte della pellicola) è incisiva, sicuramente eccessiva, ma funzionale. Ma il preambolo necessario per il cinema e che, di fatto, prende le distanze da un impianto prettamente teatrale, la riduce a mera invettiva e consegna allo spettatore un prodotto privo di finalità costruttive. Un vero peccato.
Uscita al cinema: 25 settembre 2014
Voto: **