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Post-Venezia. “Cut”: l’essere nel cinema e per il cinema di Amir Naderi

Creato il 02 ottobre 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Post-Venezia. “Cut”: l’essere nel cinema e per il cinema di Amir Naderi

Porto dentro Venezia .68 … ancora intoccabili le stratificazioni di visioni assorbite, che faccio fatica a ‘rimettere-rigettare’, piena di una sazietà e un’indolenza da sovraccarichi di sguardo e dita al lavoro a comprimere-imprimere sulla tastiera di un pc intuizioni, pulsioni, che il contatto concentrato su molteplici occhi in quasi due settimane di visioni genera.

Conservo gelosamente sguardi cinefili obliqui, incastrati nel percorso della Selezione Ufficiale, valvole a cielo aperto in cui mi sono immersa per prendere aria più ‘compressa’, più ‘claustrofobica’ ma di benefica purezza negli sforzi e nelle tensioni di percezione che impone a chi si accosta. Cut (2010), pellicola che ha aperto la sezione Orizzonti (la più sperimentale e coraggiosa di Venezia 68), è la testimonianza cinefila assoluta-assolutista di Amir Naderi. Regista iraniano, collaboratore alla sceneggiatura con Abbas Kiarostami, autoesiliatosi negli Usa dalla fine degli anni Ottanta per una scommessa personale più che per motivi politici, e fattosi strada nel circuito del cinema indipendente e in quello fotografico, non prima di aver lasciato in Iran, tra il 1972 e il 1988, ben 11 film (tra cui, per molti, il suo capolavoro neorealista Davandeh [Il corridore], 1985), evolvendosi successivamente verso un cinema sempre più destrutturato, pur conservando, intatto, tutto il senso del proprio umanesimo emotivo. A.B.C. …Manhattan (1997) e Marathon – Enigma a Manhattan (2002), le mie prime incursioni nel suo mondo (sempre e necessariamente FuoriOrario-ghezziane, visto che solo di notte e in quel palinsesto avevano visibilità. Marathon – Enigma a Manatthan, è stato il primo film di Naderi ad avere una distribuzione cinematografica in Italia). Stupita-rapita dai due film della cd. trilogia sulla Grande Mela (di cui mi manca il primo tassello Manhattan by numbers, 1993). Avverto una sorprendente capacità di raccontare l’Occidente e, ancor di più, l’essenza di una metropoli come New York. Naderi sembra aver perfettamente assorbito l’universo cosmopolita-meta urbano che lo contiene. Nei personaggi in cui mi imbatto (il non risolversi delle tre donne di A.B.C. …Manhattan, ostaggi del proprio passato e di un presente ingabbiante, sia emotivamente che urbanisticamente, e l’ossessione-solitudine di Gretchen, la protagonista di Marathon) traspare una grammatica filmica sia ‘oggettiva’ – nell’estemporanea della città rese e delle atmosfere messe in luce – che ‘soggettiva’, un caos di anime vaganti, un essere occidentali e contemporanei senza centro e direzione, dove l’individualismo, a livello collettivo, è morto: tutti si confondono e si spersonalizzano in questo flusso convulso e inarrestabile nel quale si è immersi, nelle architetture urbane in cui si è ‘imprigionati’. Si tenta di comunicare, ma ci si sfiora o si fugge. Naderi, col suo occhio mobile e assorbente, entra nel flusso e delimita le esistenze in cui si imbatte, circoscrivendole, osservandole e, per il loro tramite, offrendoci il senso ancora più potente di un’umanità composta da tante piccole isole che cercano di non farsi travolgere dalla corrente che le circonda.

E, proprio in Marathon, questo concetto è espresso ed enfatizzato nel paradosso più evidente. Gretchen partecipa alla propria ‘magnifica ossessione’: un concorso di enigmistica, per il quale deve risolvere in un giorno 78 cruciverba. La metropolitana di New York, le sue viscere buie e caustiche che trattengono costantemente masse umane quotidiane, il disequilibrante stridìo dei freni, dondolio dei vagoni, l’allucinazione dei neon artificiali, le inarrestabili parole e gli innumerevoli corpi che si spostano sincronicamente e non, sono il sottofondo ideale a Gretchen per percepire un isolamento perfetto: il paradosso del congiungimento e della condivisione umana di spazio e tempo quale momento massimo di alienazione e di solitudine. Tant’è che quando arriva nel suo appartamento, e si immerge nel vero silenzio, Gretchen non riesce più ad essere concentrata. Deve simulare lo stesso stordimento esterno, per sentirsi ‘in pace’ con la propria solitudine (per non avvertirla nella sua muta paralisi). Avvia una registrazione dei suoni urbani, apre il rubinetto dell’acqua… Naderi ha compreso e ci fa comprendere dentro un bianco e nero, una cinepresa Super 16 millimetri e con una semplice videocamera.

A Venezia ha portato il proprio manifesto in digitale sulla settima arte, la sua dichiarazione d’amore-ossessione, il suo anatema contro chi sta distruggendo il cinema: Cut, ennesimo esperimento, è girato in Giappone (altro Oriente, diverso da quello Iraniano). Il film, scritto e diretto dallo stesso Naderi, è co-sceneggiato da Shinji Aoyama e Yuichi Tazawa. Una consulenza speciale è stata fornita da Kiyoshi Kurosawa (esponente di spicco dello J-horror).

Shuji è un giovane regista dilettante impregnato-ossessionato da una viscerale corrispondenza tra arte (cinema in questo caso) ed esistenza. Come un folle ed alienato (e chi è cinefilo non può che sorridere ed identificarsi con la sua ‘malattia’), munito di megafono, grida al flusso umano di Tokio che lo attraversa, la necessità di salvare il cinema, a tutti i costi. Un cinema sempre più smarrito e moribondo, dirottato quasi integralmente dentro una commercializzazione che lo identifica con un vero e proprio business. Shuji (illuminato dalla propria consapevolezza) persevera nel diffondere una storia del cinema, di condivisione sempre più rara tra gli spettatori contemporanei: organizza sul proprio terrazzo cineforum fai da te, dove i più grandi cineasti e i loro occhi autentici possano toccare le percezioni di coloro che li osservano per la prima volta. Si fa forza della sua impari battaglia, visitando le tombe dei tre maestri Mizoguchi, Ozu e Kurosawa… Ma il cinema è vita, non pura astrazione. Naderi lo sa bene (come tutti i cinefili) e nella vita di Shusjii irrompe la Yakuza. Suo fratello viene pestato a morte nello squallore del bagno di un locale, perché non aveva restituito al boss di zona il prestito ottenuto per poter finanziare il film che stava preparando Shuji. Scioccato dalla notizia, e preda di un senso di colpa indelebile aggravato dal non aver risposto al tentativo di contatto del fratello poco prima che morisse, Shuji si immola in una espiazione-redenzione: per 15 giorni (scadenza impostagli dalla Yakuza per avere indietro il proprio credito) diventa un punching-ball, facendosi pestare (nello stesso posto-luogo, il davanzale del bagno dove suo fratello ha perso la vita) da qualunque avventore in cambio di soldi. E in ogni colpo incassato, nelle strazianti sofferenze-deformazioni del volto subite, il cinema è sempre con lui. Come un mantra, grida (di fronte agli avventori divertiti) le sue citazioni cinefile, con cui si fa forza e si prepara a ricevere il colpo, e grazie alle quali riesce ad alzarsi e a riceverne altri.

Le proiezioni sul corpo nudo, cosparso di lividi e di tagli, delle immagini dei film a lui più cari, sono il balsamo fisico e mentale rigenerante, che al mattino stordisce-levia le lunghe notti di percosse, conferendo a Shusji una stupefacente forza, capace di fargli portare a termine fino in fondo il proprio sacrificio. Gli ultimi 100 colpi che riceve, a cui corrispondono i 100 film della sua vita (e di Naderi), chiudono in una empatica e accesa corrispondenza con chi guarda questo esperimento-folgorazione non completamente riuscito. Naderi ci carica (ben conscio del pericolo e della ‘fatica’ a cui ci sottopone), a tratti, di una dilatazione estrema, di interminabili sospensioni scandite dai pugni ricevuti ed inferti, di un immobilismo temporale-spaziale, per tutta la durata della pellicola, troppo trattenuto.

Resta, intatta, in Cut tutta l’essenza di un fare cinema che penetra e trasforma la stessa esistenza e dalla quale trae linfa, in un duplice scambio rivelatorio (per chi crea e chi guarda) che pare sempre più restringersi, oggi, e che vetrine come Venezia ed altri Festival internazionali riescono a preservare.

Maria Cera

Amir Naderi – FILMOGRAFIA

Khodâ hâfez rafiq (1972)
Saz-e dahani (1973)
Tangsir (1973)
Tangnâ (1973)
Entezar (1974)
Marsiyeh (1976)
Sâkt-e Irân, Sâkt-e America (1978)
Jostoju 1 (1980)
Jostoju 2 (1982)
Il corridore (Davandeh) (1985)
Acqua, vento, sabbia (Ab, bâd, khâk) (1988)
Manhattan by numbers (1993)
A, B, C… Manhattan (1997)
Marathon (2002)
Sound Barrier (2005)
Vegas: Based on a True Story (2008)
Cut (2010)

LETTURE  su Amir Naderi:

Massimo Causo e Grazia Paganelli, Il vento e la città. Il cinema di Amir Naderi,  Collana Il Castoro Cinema, Il Castoro, 2006.

Prima monografia italiana dedicata al cineasta iraniano, pubblicata in occasione della personale completa su Naderi Bullshit walks money talks. Attraversando Las Vegas il 17- 29 gennaio 2006 , curata da Grazia Paganelli, allestita a Torino dal Museo Nazionale del Cinema.

Post-Venezia. “Cut”: l’essere nel cinema e per il cinema di Amir Naderi
Scritto da il ott 2 2011. Registrato sotto FULL OF GRACE, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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