(Posti in piedi in paradiso)
Carlo Verdone, 2012 (Italia), 119'
uscita italiana: 2 marzo 2012
voto su C.C.
Tre cinquantenni rovinati dai rispettivi divorzi (Carlo Verdone, Pierfrancesco Favino, Marco Giallini) si trovano a vivere insieme in un appartamento fatiscente, dando vita a un continuum di gag prevedibili. Il più stagionato avrà anche modo di relazionarsi con una cardiologa emotivamente instabile (Micaela Ramazzotti) e di rivedere nella giovanissima figlia incinta sprazzi della sua gioventù bruciacchiata.
Carlo Verdone, noto per la sua ipocondria, dovrebbe iniziare a prendere in seria considerazione alcuni nuovi disturbi neurologici da aggiungere al campionario di malattie millantate: con Posti in piedi in paradiso infatti sorprende almeno una parte del pubblico (probabilmente quella ancora pensante) mettendo in scena contemporaneamente due film che non hanno nulla in comune, se non un paio di personaggi. La schizofrenica sceneggiatura propone nella prima ora di pellicola questa banalissima ambientazione stile Friends (versione andropausa) tentando in tutti i modi di ricollegarla all'attualità con il pedante riferimento ai problemi economici dei protagonisti e alla crisi che distrugge persino le famiglie – sembra mancare solo uno spunto riguardo l'articolo 18, ma Verdone e compagni evidentemente non sono stati sufficientemente lungimiranti; quindi, senza ulteriori spiegazioni sulle vicende dei tre neo-scapoli, l' “azione” si sposta sotto la Tour Eiffel (letteralmente) per raccontarci i patemi sentimentali di una diciottenne alla prese con un fidanzatino perfetto e un nascituro inatteso. L'impressione, sconcertante, è che ad un certo punto durante la stesura del soggetto sia venuto in mente agli autori che non c'era sufficiente materiale da riempire il consueto contenitore che De Laurentiis è pronto a rendere blockbuster, convincendo questi illustri professionisti della celluloide a completare il film con un episodio da soap opera “nobilitato” dalla cornice parigina. Le storie dei personaggi di Favino e Giallini, per quanto non particolarmente coinvolgenti, meritavano di certo una morte più onorevole di quella che Verdone ha riservato per loro: liquidate con estrema superficialità in epiloghi deprimenti e spietati – in uno di questi ha modo di brillare Nadir Caselli, ma non esattamente per la sua recitazione. Non sorprende che invece l'alter ego del regista di Borotalco sia l'unico al quale il futuro tornerà a sorridere, regalandogli una rinvigorita vita sessuale, la revanche sulla ex che gli aveva rovinato vita e carriera, oltre all'amore incondizionato della graziosa figliola esportata sulla Rive Gauche. Magari Verdone avrà modo di restare un po' più a lungo alla corte di Sarkò. Potrebbe così evitare di rovinare in molti cuori il ricordo lasciato dal suo Cinema qualche decennio fa. Schizofrenico.