Non lamentiamoci. Dopo tante umiliazioni possiamo vantarci di essere in vetta a una hit parade che annovera Paesi industrializzati ed emergenti: siamo quarti nella classifica dei perdenti. Insomma su ogni bambino che nasce pesa non solo la sua quota personale di debito pubblico, ma anche i circa 430 dollari l’anno che i cittadini del mondo ci rimettono giocando ai videopoker, con le macchinette, partecipando alle lotterie, grattando e perdendo, al casinò reale o virtuale, per un volume complessivo di 24 miliardi di dollari, su un giro d’affari complessivo di 488 miliardi di dollari. In testa alla graduatoria degli sfigati si collocano gli americani, non contenti di aver scommesso sulle bolle immobiliari, con 142,6 miliardi di dollari persi nel 2014, segue la Cina con 95,4 miliardi e al terzo posto, molto distanziato, il Giappone con 29,8 miliardi. L’Italia dunque si piazza al quarto posto per poco, secondo le rilevazioni della società di consulenza britannica H2 Gambling Capital, con 23,9 miliardi di quattrini bruciati ogni anno.
Abbiamo capito che per il governo questo primato è irrinunciabile: così la legge di Stabilità prevede che tra le risorse su cui deve contare il Paese per mettere il segno “più” ci siano i proventi del gioco d’azzardo incrementati da 22 mila nuove installazioni. L’ambizione è sempre quella di far meglio di Berlusconi che si era accontentato di regalare una sanatoria ai biscazzieri e un “premio di produttività” per il 2011, come riconoscimento delle loro performance e dell’elevato “livello di servizio raggiunto”.
Se n’è accorto perfino il Corriere che con uno sdegnato articolo di Stella sottolinea l’incoerenza non sorprendente del croupier di Palazzo Chigi, che da sindaco e poi da segretario di partito si era pronunciato contro la piaga dell’alea. E quindi esprime tutta la riprovazione per le misure in itinere, compreso il rinnovo delle attuali concessioni per i punti di raccolta delle scommesse in scadenza, forse tramite gara, che potrebbe servire a rottamare vecchi patron, accontentandone di nuovi. Interrogandosi sulla deplorevole iniziativa del governo che vuole trarre profitto da quella che, secondo la Consulta Nazionale Antiusura, è diventato negli anni della crisi una delle cause principali dell’indebitamento di famiglie e imprese e imponendosi come una delle principali matrici del sempre maggior ricorso all’usura. Ma dimenticandosi nel suo investigare che per anni e forse anche oggi – magari potrebbe essere un terreno di indagine per giornalisti di punta che hanno fatto fortuna denunciando la “casta – dietro le pimpanti sigle dei signori dell’azzardo c’è di certo la criminalità organizzata, ci sono imprenditori che investono nelle bische, oltre che per il vantaggioso giro d’affari, per allargare il brand dell’evasione e del riciclaggio, ma ci sono stati anche correnti di partito, leader e prestanome per la politica.
E siccome il gioco d’azzardo è indecente, iniquo, infame ma legale, la loro presenza è stata poco pubblicizzata per un’ultima istanza di decenza, molto opaca, ma non certo clandestina, ci voleva poco a indovinare di chi erano “amici” e grandi elettori i Corallo a un tempo famigli di parlamentari del Pdl e di Nitto Santapaola, a svelare i legami tra la Codere e l’Unipol di Consorte.
Insomma quello è un business che può competere con quello della corruzione, con la differenza che uno è largamente impunito l’altro invece è legale, quindi impunibile, anzi encomiabile perché partecipe del cammino verso l’uscita del tunnel.
Peccato che in un tunnel nero, sempre più nero ci sono milioni di italiani: in media, oltre un euro su dieci che le famiglie spendono normalmente è drenato verso qualcuno dei modi di scommettere, puntare, ricercare denaro come “ricompensa” e gratificazione. E che il gioco d’azzardo s’inserisca dunque, potenziandone gli effetti, nel cerchio vizioso della crisi fiscale dello stato, esasperando la riduzione delle entrate pubbliche, esacerbando i “consumi dissipativi”, indirizzando le vittime, tutte appartenenti, come ha rilevano la Commissione Antimafia nella sua ultima relazione sul tema, ai ceti più “deboli”, verso l’usura, quando non addirittura costringendole – proprio come accade con la droga – al proselitismo o a entrare nelle schiere della manovalanza criminale.
E dire che la “promozione” dell’azzardo, che lo Stato sostiene e incrementa, nonostante che i ricavi erariali siano sempre più esigui, malgrado sia ampiamente dimostrato che “in termini di risorse, consuma molto di più di quanto porti alle casse pubbliche ” era nata all’insegna di uno di quegli “equivoci” che hanno dato luogo alle operazioni più disastrose degli ultimi decenni. Il gioco legale e sicuro è stato pubblicizzato come impegno sociale attivato nel 2004 con una serie di investimenti del Monopolio, per “sottrarre spazio alla criminalità che propone clandestinamente scommesse, sale da gioco, slot machine e varie altre forme di azzardo in aperta sfida allo Stato”. Man mano che la marea tossica montava, poche voci si sono alzate a smascherare l’evidente “sinergia tra legale e illegale”, quello che la Consulta prevedeva già nel 2000, l’affermarsi cioè di un “tandem tra il legalizzato e il criminalizzato: il successo delle operazioni di marketing del primo finisce per riflettersi sull’espansione dell’altro, in un’interazione che è già stata rilevata, almeno dalle correnti più critiche del pensiero economico e sociale, per altre forme di “nocività” generatrici di lucro (tabagismo, consumo di stupefacenti)”.
La Corte Costituzionale era stata profetica, salvo l’omettere tra le forme di nocività, quella commistione tra l’apparentemente e diversamente legale e l’esplicitamente criminale che si gioca nel casinò finanziario globale e della quale siamo vittime proprio come se fossimo davanti a una macchinetta truccata che ci farà perdere sempre.