Prandelli ct azzurro fino al 2016: punto di partenza per rilanciare il nostro calcio?

Creato il 27 marzo 2014 da Carloca

E' talmente fiacca e vuota, nel nostro Paese, questa lunga vigilia del Mondiale brasiliano, che persino una notizia come la riconferma di Prandelli in sella alla Nazionale è transitata dalle pagine dei giornali senza colpo ferire, in un clima di sostanziale distacco e indifferenza. Eppure è un evento la cui portata, alla lunga, potrebbe travalicare i ristretti confini dell'attività della truppa azzurra per coinvolgere il futuro dell'intero movimento calcistico nostrano. L'attuale cittì, dunque, guiderà il  Club Italia anche nel biennio 2014 - 2016. In un football in cui i contratti firmati dagli allenatori hanno la consistenza della carta velina, in quanto legati a filo doppio ai risultati conseguiti nell'immediato più che alla programmazione a lungo termine, la Figc ha scelto, coraggiosamente, di sposare la strategia opposta, di guardare lontano, laddove la scelta di attendere l'esito della Coppa del Mondo avrebbe incontrato di certo più larghi consensi. COME SACCHI, MA NON COME DONADONI... - Non è la prima volta, intendiamoci: senza andare troppo indietro nel tempo, ricordiamoci di Arrigo Sacchi, confermato, non proprio a furor di popolo, dall'allora presidente federale Matarrese qualche mese prima di un Europeo '96 al quale, in effetti, ci accostammo da superfavoriti. Solo che la nostra rappresentativa, complici alcuni strafalcioni del vate di Fusignano, venne estromessa al primo turno. Sacchi sedette sulla panchina azzurra ancora per tre partite, alla ripresa autunnale, poi salutò la compagnia lasciando il posto a Cesare Maldini. Insomma, una riconferma un po' affrettata, col senno di poi. Atteggiamento opposto venne tenuto nei confronti del buon Donadoni, circondato da un clima di dilagante scetticismo alla vigilia di Euro 2008 nonostante una qualificazione centrata con autorità in un girone difficile (Francia, Scozia, Ucraina...): contratto in scadenza e vertici federali che pareva non vedessero l'ora di riabbracciare Marcello Lippi; Donadoni fece un Europeo dignitoso, superando a fatica il primo turno (ma in un raggruppamento di ferro con Olanda e, ancora, Francia) e cedendo nei quarti alla Spagna, futura campione di tutto, solo dopo i calci di rigore. Ma Abete e compagnia, senza esitazioni, richiamarono il CT iridato, ed ebbero il giusto castigo così come, purtroppo, lo avemmo anche noi appassionati, costretti ad assistere impotenti al prevedibile scempio sudafricano. OLTRE LA NAZIONALE - Insomma, mai una linea operativa univoca, da parte dei nostri padroni del vapore. Eppure, la particolare congiuntura che sta vivendo il pallone tricolore può giustificare quest'ultima scelta. Torniamo dunque al discorso di partenza: qui non si tratta più solo di programmare la futura attività della squadra azzurra fino all'appuntamento col torneo continentale in Francia (dove approderemo senza ombra di dubbio: con 24 posti a disposizione, non qualificarsi sarà.... impossibilissimo). La sfida è un'altra, di portata ben più consistente: ridisegnare mentalità, modus operandi, strategie di tutto il movimento calcistico italiano. Limitatamente alle competenze di un allenatore di Nazionale, è ovvio, competenze che però, alla luce di questo rinnovo contrattuale, potranno essere interpretate in maniera più ampia. Alle corte: Prandelli dovrà prendere in mano le redini di una sorta di riscossa del decadente marchio "Calcioitalia", inteso come prodotto nostrano, come eccellenza del Paese, come bontà "a chilometro zero" di cui le maglie azzurre rappresentano, da sempre, l'immagine più popolare e vincente all'estero. Dovrà spingere, il buon Cesare, affinché si inizi l'opera di rilancio del vivaio locale: da qualche anno, per le convocazioni del commissario tecnico di turno, il campo di scelta è sempre più ridotto, fra organici di A zeppi di stranieri (perlopiù scadenti, non mi stancherò mai di ripeterlo) e giovani che faticano ad emergere, chiusi da veterani più modesti ma più "scafati", e quindi costretti, per non intristire in panca o in tribuna, a cercar gloria (si fa per dire) nelle categorie inferiori. Per le selezioni giovanili il problema, oramai, non si pone nemmeno più: si pesca a piene mani in B e in C.
                           Perin: uno dei migliori prospetti di una scuola che rischia di inaridirsi
PROGETTO GIOVANI - Ecco, con la recente riconferma Prandelli può, deve assumersi la responsabilità di diventare il vertice, il punto da cui partire per cambiare questo stato di cose, garante e braccio operativo di un rinnovamento profondo: perché inaridimento del vivaio significa progressiva perdita di competitività di tutto il sistema calcio Italia e, di riflesso, della Nazionale, che ne è la più genuina e veritiera espressione. Nel passato, recente e meno recente, l'ex trainer di Parma e Fiorentina ha lanciato spesso messaggi spiazzanti in tal senso: ricordo la particolare convocazione ferragostana post Europeo polacco - ucraino, quando vennero inseriti in gruppo persino giovanissimi come De Sciglio e Perin, con alle spalle pochissime presenze in Serie A: due giocatori, per inciso, che a distanza di due anni troveremo probabilmente nel listone dei 23 per il Brasile. E poi, poche settimane fa, lo stage aperto a tanti ragazzi "imberbi", anche della serie cadetta.
Qualcosa di più di semplici convocazioni sperimentali: personalmente, vi ho ravvisato quasi una velata volontà di dettare la linea, di smuovere la pigrizia mentale di tecnici e dirigenti di club, della serie "se non ci pensate voi a lanciare i giovani, io vi precedo, vi metto di fronte al fatto compiuto, li porto in azzurro anche se con poca esperienza e poi... la palla passa a voi". Questo atteggiamento dovrà diventare una regola, permeare ogni singola mossa del CT da qui in poi: magari partendo anche dalla Coppa del Mondo, visto che, come ho scritto spesso sul blog, la sensazione è che, ultimamente, anche da parte di Prandelli la pazienza nei confronti delle nostre nuove leve non sia stata sempre massima, vedi l'accantonamento di Insigne e Florenzi (quest'ultimo uno dei migliori centrocampisti espressi dal campionato in corso) o la fiducia contingentata a Verratti.
Nell'estate 2012, a Europeo concluso, scrivevo così su "Note d'azzurro", e mi si perdonerà l'autocitazione: "In un momento di crisi come questo, un momento in cui le nostre società hanno perso competitività finanziaria (e conseguentemente sportiva) sul palcoscenico internazionale, l'unica scelta di buonsenso sarebbe quella di un rilancio in grande stile dei settori giovanili, e il loro conseguente sfruttamento per innalzare il valore tecnico delle rappresentative azzurre, in primis la maggiore". Siamo allo stesso punto, e anzi la situazione si è aggravata.
MODELLO TEDESCO - Non si può più rimandare la soluzione del problema, ed è giusto che Prandelli, con le spalle coperte da un contratto blindato, se ne faccia carico per quanto di sua competenza, non limitandosi a sporadiche dichiarazioni ma operando concretamente, magari con l'aiuto di una vera e propria task force che smuova le stagnanti acque del calcio tricolore. Ora ha l'autorità per dettare la linea. Perché nel prossimo biennio dovrebbero giungere a definitiva maturazione i gioiellini lanciata dalla splendida Under 21 2011 - 2013 vicecampione d'Europa: i già citati Florenzi, Insigne e Verratti, ma anche Donati, Marrone, Gabbiadini, Bertolacci, Borini, Fausto Rossi e, perché no, Bianchetti, Regini e Caldirola, mentre sono attese la resurrezione di El Shaarawy e la crescita di Berardi.
Con questi ragazzi, sul breve periodo è assicurato un buon ricambio generazionale e si potrebbe persino puntare al bersaglio grosso all'Europeo parigino, ma: 1) Devono giocare con continuità e ad alti livelli per acquisire esperienza e spessore internazionale; 2) Dopo di loro, rischia di aprirsi un vuoto pauroso se non si comincia a intervenire in profondità. Dopo il fiasco di Sudafrica 2010 si cianciò a lungo di ripartire dal modello tedesco, da quella Germania che, di fronte alla crisi generazionale degli anni Novanta, decise di lavorare sul lungo periodo reinventando il proprio calcio a partire dai settori giovanili, sfornando infine una rappresentativa verde, fresca e altamente competitiva. Ovviamente, nel Paese dei parolai, i proclami restarono tali. Prandelli, novello "CT a lunga scadenza", col suo operato può imprimere la svolta decisiva per uscire dall'impasse. E' un'occasione da non sprecare, forse l'ultima: lo aspetto alla prova. 

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