Ma tu guarda se uno si deve trovare a ringraziare dei personaggi che, per una vita, ha culturalmente aborrito. Nella fattispecie mi riferisco al clero e ai latifondisti, due categorie che in parte si sovrappongono. Ma ora che le amministrazioni comunali di qualsiasi colore sembrano non trovare altra risorsa economica che la concessione massiccia di territorio demaniale nelle mani di un’edilizia a carattere invasivo, anzi, neoplastico, l’unica speranza di arginare l’ondata di cemento e risparmiare preziose aree verdi, ancorché inibite all’accesso pubblico, sembra risiedere nelle mani delle istituzioni religiose e di rampolli del generone che ancora non siano costretti alla liquidazione dei loro ettari. Dico per dire, eh, ché il latifondo in Italia non esiste più dal 1950 (sic.). E’ comunque pressante la necessità di conservare del terreno, anche incolto, come invocava già 45 anni fa un fortunato ragazzo della via Gluck. In una lucida argomentazione che Luca Mercalli ha inviato alla candidata, poi sconfitta, presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, è delineato un programma chiaro e coraggioso che trovo di una disarmante e disperante semplicità. Lo riassumerei in una parola: decrescita. Perché in un mondo che è fisiologicamente limitato, il cosiddetto sviluppo – pseudonimo di “crescita dei consumi” – non può essere illimitato. Ergo, bisogna ingranare la retromarcia e riconvertire quante più brutture inutili è possibile. Quanto prima, perché, per citare il titolo di un libro dello stesso Mercalli, “Le mucche non mangiano cemento.”
Certo che se anche gli animali la smettessero di remare contro e ci lasciassero lavorare…