Pregiudizi: l’abito fa il monaco

Da Psytornello @psytornello

Ho appositamente inserito un video in lingua originale perché non è importante conoscere i contenuti del dialogo. Osservate gli sguardi, vi saranno sufficienti per capire cosa sta succedendo in questa scena del film.

Vivian, la protagonosta del celebre film Pretty Woman, entra in un negozio di lusso per acquistare degli abiti ma alle commesse basta un rapido sguardo al suo abbigliamento per decidere che non desiderano averla come cliente. Oggi parliamo dunque del pregiudizio.

E’ necessario un solo sguardo per etichettare chi ci sta davanti e spesso l’idea che che ci facciamo del nostro interlocutore difficilmente riesce ad essere scardinata. Dunque la prima impressione (che nei comuni modi di dire “è quella che conta”) non è oggettiva perché condizionata non solo da aspettative, esperienze, ricordi ma anche da aspetto fisico, abbigliamento ed espressioni della persona sottoposta al nostro giudizio. Se uno o più di questi fattori non ci aggradano, molto facilmente “partoriremo” un’opinione negativa e, paradossalmente, tanto più saremo veloci ad etichettare la persona che ci sta di fronte tanto più difficilmente saremo in grado di cambiare idea.

Insomma, siamo portati a pensare che le prime cose che veniamo a sapere siano vere e tutte le informazioni dissonanti con lo schema iniziale non vengono prese in considerazione o vengono giustificate in modo che appaiano accettabili. Quindi se la prima impressione è positiva, leggeremo in questa chiave anche tutte le successive informazioni e viceversa (vedi articolo sulla dissonanza cognitiva).

Dicevamo che, nell’esprimere un giudizio su una persona, siamo anche influenzati dal suo abbigliamento. Già, è praticamente impossibile non farsi condizionare dal look dei nostri interlocutori, d’altronde uno dei nostri stereotipi mentali è: le persone ben vestite sono più credibili. Nel nostro essere così conformisti, a ogni mestiere associamo un look che ci rassicura: al consulente finanziario giacca e cravatta, al medico il camice bianco e così via…
E l’aspetto fisico pesa sulle prime impressioni? Assolutamente sì e non solo nelle relazioni sentimentali. Per valutare affidabilità e credibilità, per esempio, traiamo preziose informazioni dai lineamenti. Gli etologi da tempo sostengono che i caratteri infantili (fronte bombata, guance rotonde, occhi grandi, testa grossa rispetto al tronco, forme rotondeggianti, suscitano sentimenti di protezione e simpatia. Le persone adulte con questi lineamenti vengono percepite come più spontanee, oneste ed affidabili, rispetto a persone con tratti somatici più marcati e con il viso di una persona più matura.

Ma a cosa serve il pregiudizio (ovvero il giudizio emesso in assenza di informazioni)? Per molti studiosi è una caratteristica prettamente umana e che si è evoluta in un lontano passato. Probabilmente, per favorire la sopravvivenza del proprio clan preservandone le risorse, abbiamo sviluppato un modo per distinguere velocemente gli appartenenti al gruppo di estranei, al fine di favorire i primi a discapito di altri. Dagli uomini della preistoria ad oggi, il meccanismo è diventato inconscio per tutti gli esseri umani.

I pregiudizi cambiano a seconda del luogo e dell’epoca, e così capita che diversi gruppi o categorie di persone diversi siano di volta in volta oggetto di discriminazioni. Una considerazione che si applica a fatti di ogni genere. Ad esempio l’essere in sovrappeso: un tempo era un simbolo di benessere, nella società contemporanea è diventato un problema da quando si è imposta la cultura dell’immagine e dell’efficienza. Il filtro inconsapevole che deforma le nostre valutazioni suggerisce: chi è grasso non ha autocontrollo, è pigro, è debole. Ma la discriminazione più assurda avviene dove meno dovrebbe essere: fra i medici. Secondo uno studio pubblicato su Plos One svolto da Janice Sabin dell’Università di Washington e da colleghi dell’Università della Virginia, i medici nutrono pregiudizi impliciti ed espliciti nei confronti di pazienti obesi. L’indagine ha coinvolto 400.000 partecipanti, di cui 2000 dottori: i risultati sono stati gli stessi tanto nelle persone comuni quanto fra i medici. Quanto questo influisca sulla qualità delle cure è tutto da dimostrare, ma queste ricerche parlano chiaro sulla natura insidiosa del pregiudizio. E invitano a riflettere sempre un po’ di più prima di etichettare qualcuno senza averlo mai conosciuto davvero.

Fonte: Focus. Scoprire e capire il mondo. N. 250 – Agosto 2013

Per approfondire:
Stereotipi e pregiudizi, B. M. Mazzara (Il Mulino);
Psicologia del pregiudizio, R. Brown (Il Mulino).


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