di Samantha Lombardi
Nella località di Vispières, vicino a Santillana del Mar (Santander – Spagna), 15000 anni fa, sulla volta di una grotta, un artista sconosciuto seguendo un’ispirazione dipinse una mandria di bisonti.
La grotta fu scoperta casualmente da un cacciatore nel 1868, fu però solo nel 1879 quando Marcelino Sanz de Sautuola in una delle sue perlustrazioni condotte nella grotta e soprattutto grazie alla curiosità di sua figlia Maria, che aveva portato con sé, che la grotta stessa rivelò al suo interno, in una sala laterale, quella meraviglia, conservata nel tempo, che ancora oggi ritroviamo nelle splendide pitture di Altamira e che restano una delle più affascinanti e misteriose testimonianze dell’Arte Paleolitica.
Questo importante rinvenimento, che ha consentito di far conoscere l’esistenza dell’Arte Paleolitica, ha dato la possibilità agli studiosi, anche se scettici, di comprendere l’alto livello qualitativo ed espressivo degli artisti preistorici ed è a seguito di ciò che il de Sautuola pubblica un resoconto che riguarda sia le pitture che gli scavi eseguiti nel sito che riportarono alla luce resti fossili e svariati manufatti liciti coevi alle pitture stesse.
Questa pubblicazione però non ebbe il successo sperato perché gli studiosi dell’epoca non credevano che popolazioni considerate culturalmente ancora primitive potessero arrivare a livelli artistici di così alto livello. Le aspre polemiche che si sollevarono fecero spegnere i riflettori su Altamira e la grotta ripiombò nella sua oscurità.
Nel 1880 quando la grotta fu presentata al Congresso Antropologico di Lisbona, la reazione degli studiosi fu nuovamente ostile perché la straordinaria conservazione del colore fu uno degli argomenti di contestazione circa l’autenticità delle pitture di Altamira. Si arrivò addirittura ad ipotizzare che i dipinti non risalivano all’Era Paleolitica ma erano stati realizzati tra il 1875 e il 1879, anni in cui il de Sautuola era stato nella grotta.
Alla fine dell’Ottocento furono scoperte, in rapida successione cronologica, altre grotte tra cui: La Mouthe (Dordogna); Pairon Par (Gironda); Chabot (Gard); Marsoulas (Alta Garonna) e Font de Gaume (Dordogna), che riportarono in alto il nome della Grotta di Altamira. A questo punto non si poteva più negare l’Arte dell’Era Paleolitica.
Dovettero passare 25 anni fino a che, nel 1902, Èmile Cartailhac, uno degli studiosi che aveva a suo tempo rifiutato la tesi del de Sautuola, visitò la Grotta di Altamira e dopo aver visto all’interno della Grotta di Font de Gaume dei bisonti dipinti, riconsiderò le proprie idee tanto che nel 1906 pubblicò, insieme ad Henri Breuil, una monografia dettagliata su Altamira: “Les Cavernes ornée de dessins, La Grotte d’Altamira (Espagne) Mea Culpa d’un sceptique”. Altamira tornò così alla ribalta.
La Grotta di Altamira è lunga 300 metri e può essere suddivisa idealmente in tre zone ben distinte. Dopo l’atrio d’entrata, che rappresenta la zona abitata nel Paleolitico, si procede all’interno per circa 25 metri fino ad arrivare alla cosiddetta “Sala della volta dipinta” dove su una superficie di oltre 160 mq si rincorrono le figure di numerosi bisonti, alcune cerve, un cervo, un cavallo e un animale non ben identificato anche se gli studiosi hanno ipotizzato si tratti di un cinghiale.
Le diverse figure di animali, che sono state raffigurate con dimensioni più piccole del normale, sono intersecate da svariati segni ottenuti con incisioni più o meno profonde; altre pitture riproducono invece una decina di cavalli dipinti di rosso, mentre l’alce, la capra e altri diversi animali sono stati dipinti di nero. Non mancano incisioni di figure antropomorfe nonché alcuni profili di mani realizzate sia in positivo che in negativo.
Nella lunga e articolata galleria, che rappresenta la parte intermedia, vi sono rese altre figure di animali e segni astratti per lo più incisi. Verso il fondo della stessa, si trova un’altra ampia sala La Hoya anch’essa con figure di cervi, capre e bisonti. Nella parte terminale della grotta denominata Coda di Cavallo si evidenziano molte altre incisioni, nonché pitture e tratti informi eseguiti con il carboncino e alcune maschere antropomorfe, mentre per dipingere sulla volta le figure dei bovidi, il pittore ha sapientemente sfruttato le forme e le sporgenze naturali della roccia.
Ma quale tecnica è stata utilizzata dall’uomo del Paleolitico per realizzare i dipinti nelle grotte di Altamira? Quale messaggio dovevano essi trasmettere? Probabilmente non c’è nessun messaggio perché, nella maggior parte dei casi, questi dipinti, che erano forse destinati a non essere mai visti da alcuno, non hanno un fine narrativo evidente, ma raccontano quella che, per il pittore, doveva essere una visione quotidiana e che l’insieme delle raffigurazioni sia stato ideato ed eseguito in un tempo relativamente breve. Non si conosceranno mai gli artisti ma la loro firma è rimasta nel modo in cui sono stati resi alcuni particolari quali il muso, la coda…, ma soprattutto nelle tecniche utilizzate per definire il contorno delle figure e dalla conformazione spesso complessa delle gallerie che si snodano nelle grotte.
Nel caso di Altamira il profilo di ciascun animale è stato dapprima abbozzato con un tratto inciso nella roccia con strumenti di selce poi, il pittore di questi grandi disegni policromi, ha impiegato una scelta innovativa utilizzando una volta relativamente bassa piuttosto che le pareti. Questa insolita scelta fu probabilmente giustificata dalle sporgenze che ne caratterizzavano la superficie e su di esse il pittore dovette prima immaginare la figura degli animali e poi dipingerle nelle diverse posture. Per illuminare sufficientemente l’ambiente forse si servì del midollo delle ossa degli animali cacciati che, una volta rimosso, veniva raccolto in contenitori simili a lanterne e quindi acceso. Ebbe inoltre a disposizione una vasta scelta di minerali coloranti che comprendevano diverse tonalità, tra cui l’argilla chiara che era composta da mica e quarzo a grana fine e da frammenti di ambra polverizzata, non mancavano naturalmente i carboni e l’ocra rossa che è invece il colore dominante della spettacolare Sala dei bisonti.
Marcelino Sanz de Sautuola, già al tempo della scoperta della grotta di Altamira, ebbe modo di osservare l’incontenibile sgretolamento della roccia causato dalle persistenti infiltrazioni d’acqua che si incuneava dalla superficie. Questo degrado si è ancor più aggravato sia a causa dell’enorme afflusso di visitatori, richiamati quotidianamente dalla grotta di Altamira, che provocano l’alterazione del microclima interno che fino ad oggi ha permesso la conservazione delle pitture, sia per l’uso delle luci che sono accese nella grotta per poterle ammirare nel modo migliore ma che possono causare, nel tempo, la progressiva scomparsa dei colori. Così per impedire il deterioramento dei dipinti, nel 2001, è nata quella che è stata definita l’Altamira bis.
Il nuovo Museo, che sorge a circa 300 metri di distanza dal sito di Altamira, è stato realizzato utilizzando una serie di accorgimenti tecnici particolari, che non possono in alcun modo compromettere il delicato equilibrio della grotta originale.
Per la realizzazione del duplicato delle pitture della Grotta di Altamira si è scelto di operare unendo tecnologie sofisticate a sistemi simili a quelli dei quali si servì l’ignoto autore delle pitture originali, come quello di stendere il colore sulla finta roccia servendosi semplicemente dei polpastrelli e del palmo della mano avvalendosi di una tavolozza nella quale sono state riprodotte le diverse tonalità di colore delle pitture originali. Nel tentativo di rendere quasi perfetta la replica della Grotta di Altamira si è pensato addirittura di ricreare anche le condizioni ambientali: dalla temperatura (18°) allo stesso tasso di umidità presente nella grotta originale, nonché lo stesso tipo di sonorità che si può sentire all’interno dei corridoi rocciosi, ma anche una copia fedele della struttura della roccia e soprattutto le sfumature di colore delle pitture.
Entrare in questo Museo è come entrare nella grotta originale. Ogni particolare è stato copiato in maniera perfetta. Altamira, senza più turisti, ha buone probabilità di conservare le sue pitture del Paleolitico ancora per molto tempo, forse anche per l’eternità, lasciando sognare chi si sofferma a guardare l’opera di un artista sconosciuto che può essere considerato il Michelangelo della preistoria.
Fonte: http://www.ilpatrimonioartistico.it