di Pierluigi Montalbano
La scoperta dei metodi per l'estrazione dei metalli portò gradualmente alla fine della cultura neolitica. Per molti secoli, mentre utilizzavano la pietra, l'osso e il legno come materiali da utensili, gli uomini fecero uso di qualche metallo allo stato nativo (oro, argento, rame e ferro meteorico) per scopi decorativi e per la fabbricazione di piccoli oggetti quali spilli e ami da pesca.
Le ampie possibilità offerte dalla lavorazione dei metalli non erano ancora note. La metallurgia vera e propria iniziò solo quando si comprese che, con la fusione, il riscaldamento e la colata, si poteva impartire al metallo una forma nuova e controllata, al di là dello scopo delle vecchie tecniche di scheggiamento, spaccatura, taglio. Ciò avvenne verso la fine del IV millennio a.C.
Nel giro di un migliaio di anni dalla scoperta dei processi di estrazione, l'uomo era riuscito a padroneggiare la metallurgia e la tecnica della fusione. È probabile che in un primo tempo il metallo puro e la lega fossero usati indiscriminatamente e senza una chiara distinzione.
I primi costruttori di un oggetto metallico di una certa consistenza fecero una delle più importanti osservazioni della metallurgia: una massa di metallo, man mano che veniva lavorata per foggiarla nella forma desiderata, si induriva sotto l'azione del martellamento, ma poteva riprendere la condizione originale dopo un nuovo riscaldamento. Questo processo, chiamato ricottura, doveva essere ripetuto a frequenti intervalli se la lavorazione durava a lungo. Quando si usarono le forme per fondere degli arnesi con finitura grossolana si eliminò la necessità di una lunga fucinatura, con la conseguenza che potevano essere fabbricati con minore spesa e maggiore rapidità.
L'archeologia e la tradizione classica convergono nell'indicare la Persia nord-orientale come la terra d'origine della più antica metallurgia, dalla quale si sarebbe diffusa nel Vicino Oriente fin da tempi remotissimi. La capacità di lavorare i metalli si diffuse da quelle zone evolvendosi: i ricercatori di metalli preziosi, i fabbri girovaghi e i commercianti devono aver avuto ciascuno la propria parte. La posizione geografica dei centri metallurgici era determinata da due fattori: la disponibilità del minerale e quella del combustibile. La scarsità del combustibile ostacolò lo sviluppo della lavorazione dei metalli in alcune parti del mondo antico. Gli unici combustibili utilizzati nella metallurgia erano il legno e il carbone di legna, ma nessuno degli antichi imperi era ricco di legname, così questi ultimi cominciarono ben presto a concentrarsi sull'importazione dei metalli grezzi dai distanti centri di produzione del metallo. I regnanti delle città-stato affidarono quindi il materiale grezzo importato ai propri specialisti perché ne facessero prodotti finiti.
Per l'efficace estrazione dei metalli dal minerale occorre una fornace entro cui bisogna alimentare il fuoco mediante tiraggio. Nelle operazioni più semplici di riduzione i pezzi di minerale sono mescolati a strati insieme col combustibile, e il metallo viene raccolto in un lingotto dal focolare. Un'antica forma di fornace, ancora usata dai popoli primitivi, era costituita da una cavità praticata nel terreno e rivestita di argilla e di pietre. Più tardi questa fornace a coppa fu usata principalmente per il primo arrostimento, mentre la riduzione avveniva in una struttura più elaborata. Per conservare il calore, il bordo superiore della coppa era concavo verso l'interno, mentre alla base si praticavano dei fori per spillare il metallo e ottenere il tiraggio. Questo forno a crogiuolo era ancora completamente interrato. Con l'erezione di muri di pietra convergenti a camino intorno alla coppa si ebbe un più perfezionato forno a tino in cui la coppa fungeva da focolare. L'arte di costruire i forni a tino, in pietra rivestita di argilla refrattaria, pervenne in Europa dal Mediterraneo orientale verso la metà dell’età del Bronzo. Altri tipi di forno erano stati a lungo usati nel Vicino Oriente per la cottura e la smaltatura del vasellame, per la cottura del pane e per la fabbricazione del vetro. Il forno per metalli fu l'ultimo a giungere.
Il minerale di rame può essere fuso a circa 800°, mentre il metallo puro può essere fuso a 1083°, temperature che erano certamente raggiungibili nelle antiche fornaci per vasellame. Nei forni più grandi, specialmente a tiraggio forzato, i metalli ferrosi potevano essere non solo ridotti dai loro minerali, ma anche fusi per la colata in getti. Il metallo era fuso in un crogiuolo di argilla refrattaria o di argilla e sabbia. La fase successiva è stata quella di costruire il crogiuolo nella stessa struttura del forno, ma i forni costruiti in modo che il metallo fuso fosse completamente protetto dall'azione del combustibile e dei prodotti della combustione, sembra fossero sconosciuti nell'antichità. La storia del tiraggio forzato non è chiara, ma senza di esso non si sarebbe potuto fondere metalli.
Per lavorare su piccole quantità di materiali, s’iniziò a soffiare con una canna cava. I soffiatoi a canna compaiono in Egitto, come risulta dai dipinti, fin dal 2500 a.C. Gli egiziani usavano tubi di metallo con punte di argilla, o tuyeres, per introdurre l'aria nel forno, ma anche le canne come i Sumeri e i Babilonesi. Per avere un volume d'aria sufficiente per una fornace di maggiore capacità occorre una specie di pompa: il tipo più antico è costituito da una pelle di animale, con un tubo fissato a una delle zampe della pelle stessa. Questi mantici erano usati in serie. Negli antichissimi forni dei Sumeri e degli Assiri sono stati trovati dei resti di tuyeres.
Per la manipolazione dei metalli caldi, i lavoratori adoperano dapprima tenaglie formate da un pezzo di metallo flessibile ripiegato. In un secondo tempo il flessibile è sostituito da molle incernierate. I lavoratori di metalli furono tra i primi specialisti del lavoro artigiano e alcuni di essi si avventurarono in territori sconosciuti in cerca di minerali, diffondendo la conoscenza della lavorazione di queste pietre colorate.
Argento e piombo compaiono per la prima volta contemporaneamente negli scavi. Erano strettamente collegati perché si ricavano dallo stesso minerale: la galena, un solfuro di piombo che contiene una piccola percentuale di argento. La sua lucentezza metallica potrebbe aver attratto l'attenzione dei primi fonditori di rame. La “terra dei Calibei”, antico centro della metallurgia, era il distretto minerario degli Ittiti, la cui capitale prende nome dall’ideogramma usato per indicare l'argento. Le città Sumeriche e Assire inviavano i loro mercanti presso gli Ittiti per acquistare l'argento e il piombo prodotti in quella regione. La produzione si diffuse gradualmente a occidente dell'Egeo e a oriente, dove furono sfruttate le miniere che si trovavano a nord della Mesopotamia.
L'antico metallurgista non aveva ancora la conoscenza adatta per controllare le varie fasi della fusione e il risultato era inevitabilmente una bassa resa. Pesi, anelli e barre di rame e piombo furono le prime monete dell'antico Vicino Oriente; furono ben presto rimpiazzati dall'argento e dall’oro, che però servivano soprattutto come campioni di confronto, dato che i pagamenti veri e propri erano fatti in rame e piombo.
Il rame allo stato nativo si trova in moltissimi luoghi in forma di particelle, raramente in granuli. Nell'alveo di torrenti montani, dove spesso c'è l’oro, si trovano talvolta i noduli di colore verde-porpora e nero-verdastro che, se vengono raschiati, mostrano un nucleo di rame allo stato nativo.
Prima i forni erano piuttosto piccoli, appena sufficienti a fornire un'adeguata quantità di metallo per fare dei piccoli arnesi, come le punte di freccia. Solo gradualmente si riuscì a costruire forni, dove si accatastavano strati alterni di carbone e di minerale. Dalla grandezza dei lingotti preistorici (20-25 cm di diametro e 4 cm di spessore) si può dedurre che i primi forni metallurgici avessero un diametro di circa 30 cm. I primi lingotti di rame che circolarono nel Mediterraneo orientale erano sagomati a forma di pelle di bue e pesavano circa uno o due talenti, cioè 35 o 70 kg. Servivano probabilmente come moneta al posto delle vere pelli di bue usate in precedenza. Il rame e le sue leghe possono essere induriti soltanto mediante martellatura a freddo lungo i bordi di taglio. Gli utensili logori e rotti erano adoperati come rottami di seconda fusione. La colata era prima fatta in forme aperte in cui si potevano rapidamente produrre piccoli oggetti piatti. La fusione in tondo fu agevolata facendo la forma in due o più parti.
Le leghe contengono stagno ma anche piombo, antimonio, arsenico e zinco. In genere prevaleva il bronzo di stagno perché con la sua maggiore resistenza meccanica, la sua più elevata durezza e le sue migliori proprietà di colabilità, era assai più utile del rame non legato. L'unico importante minerale di stagno è la cassiterite, che si trova sia allo stato alluvionale sia come minerale di filone. Man mano che i giacimenti di stagno del Vicino Oriente si esaurivano, occorreva fare delle importazioni da regioni più lontane, come la Spagna, l'Europa centrale e la Cornovaglia.
L'estrazione dello stagno dalla cassiterite era abbastanza semplice: era sufficiente eseguire un lavaggio, ridurre in polvere il minerale e caricarlo nel forno, a strati alterni con carbone di legna. Si riuscì a ottenere un metallo di purezza elevata, ma a costo di rilevanti perdite sotto forma di scorie, e a causa della volatilizzazione. Si è spesso formulata l'ipotesi che la fusione accidentale di minerali misti di rame e stagno abbia condotto alla scoperta del bronzo.
Gradualmente i giacimenti alluvionali di stagno del Vicino Oriente cominciarono a esaurirsi e ricercatori e commercianti incominciarono a tentare le vie dell'Occidente nella speranza di trovare nuove fonti di stagno. Questo lavoro di pionieri spiega la graduale introduzione della varietà di metalli nelle regioni del Danubio e nell'Europa centrale, mentre il commercio marittimo portò lo stagno spagnolo nel Mediterraneo orientale. Queste varie importazioni compensarono la scarsità del materiale.
Le immagini sono del Museo Archeologico di Cagliari