Un uomo che scrive e racconta dal punto di vista femminile, un po’ come era avvenuto già ne Il dolore perfetto: come mai?
Mi ha sempre affascinato, sotto l’aspetto creativo, il punto di vista femminile, quest’ottica e questo approccio al mondo che è abbastanza diverso da quello degli uomini. Sono convinto che ciascuna donna, per essere se stessa in questa società, debba pagare un prezzo molto alto: è costretta a rinunciare a una parte di sé, a realizzarsi pienamente, oppure a vivere la maternità. C’è sempre un dovere che incombe su di lei come una spada di Damocle, che pende sul suo destino e ne impedisce una piena e consapevole espressione. Ogni donna deve preoccuparsi degli altri, della famiglia, dei figli o dei genitori, della società e questo limita e frustra le sue scelte, la costringe a fare delle rinunce. Come nel caso della protagonista, Signorina, sembra portare il destino nel nome. Suo padre, capostazione in un piccolo paese di provincia, l’ha chiamata così ispirandosi al soprannome di una locomotiva molto elegante. E creare eleganza, grazia, bellezza è il suo talento. Un giorno dal treno sbuca un omino con gli occhi a mandorla e, con pochi semplici gesti, crea un vestitino di carta per la sua bambola. L'omino scompare, ma le lascia un dono, un dono che lei scoprirà di possedere solo quando una sarta assisterà a una delle sue creazioni. Ma sarà costretta a fare delle rinunce. Il rapporto di una madre con i suoi figli, a volte, può essere difficile, a tratti brutale e cattivo. Per questo ho scelto il titolo L’amore graffia il mondo. Certo, sono stati compiuti passi da gigante rispetto al passato e il cammino di emancipazione è avviato, ma non è per nulla consolidato e le cronache degli ultimi mesi ce lo richiamano continuamente.
E allora da dove ha tratto ispirazione per la storia di Signorina?
Come tutti coloro che scrivono, anch’io ho inserito qualcosa di autobiografico. Ci sono echi della mia famiglia e alcuni tratti ricordano la figura di mia madre. Però, più in generale era il punto di vista femminile che volevo indagare rispetto al sentimento e all’amore: mi hanno ispirato i sacrifici che le donne sono in grado di compiere in nome dell’amore. Anche noi uomini amiamo e soffriamo, ma siamo avvantaggiati da una distanza, da una lontananza rispetto alle cose che ci permette di vivere le vicende quotidiane con più freddezza.
Francamente non ho pensato ad alcun paragone, per quanto la letteratura sia piena di figure di questo genere. Forse, a ben vedere, sono le figure femminili della mia famiglia, del mio vissuto da bambino a riemergere. Ci sono mia madre, come dicevo, e mia nonna certamente, in particolare la sua caparbietà, la sua tenacia, la sua incrollabile forza di volontà con cui ha affrontato ben due guerre e difficoltà di ogni genere.
Come costruisce i suoi personaggi? Andrea Molesini, vincitore del Premio Campiello nel 2011, ci ha rivelato di scrivere in un quaderno tutte le caratteristiche di ogni personaggio per conoscerlo meglio quando passa alla fase della scrittura…
Ognuno ha le sue tecniche di scrittura, indubbiamente, e persegue quelle che gli sono più consone. Nel mio caso, posso dirle che quando sono assalito dalla storia, scrivo per immagini e ciascun personaggio emerge fuori quasi in maniera autonoma. Credo che, a volte, le cose che funzionano si scrivano da sole.
È contento di far parte di questa cinquina?
Certamente. Conosco di persona Valerio Magrelli, con cui ho collaborato, e che apprezzo molto. Degli altri avrò senz’altro piacere di leggere i lavori.
Per accedere alle altre interviste dello Speciale dedicato al Premio Campiello 2013, cliccare sul nome dello scrittore: Beatrice Masini, Giovanni Cocco, Fabio Stassi e Valerio Magrelli.
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