Ucraina di nascita, figlia di madre anch’essa ucraina e di padre bielorusso, è nota in patria soprattutto per essere stata la cronista dei principali avvenimenti concernenti l’ex Unione Sovietica nella seconda metà del XX Secolo, dalla guerra in Afghanistan al disastro di Cernobyl fino ai suicidi conseguenti allo scioglimento dell’URSS, dando voce ai patimenti e alle preoccupazioni dell’”Homo Sovieticus”.
Ha tratto un libro da ciascuno di questi avvenimenti: “Ragazzi di zinco”, dedicato ai reduci della guerra in Afghanistan, “Incantati dalla morte”, incentrato sui casi di suicido post scioglimento dell’URSS. “Preghiera per Cernobyl”, sul celebre disastro nucleare. Svetlana Alexievich ha pubblicato anche “La guerra non ha un volto di donna”, libro che narra le vicende delle donne sovietiche al fronte durante il secondo conflitto mondiale.
E così è stato.
Nell’assegnarle il Premio Nobel per la Letteratura di quest’anno i membri della giuria hanno espresso il seguente giudizio: “per la sua opera polifonica, un monumento al coraggio e al dolore della contemporaneità”.
Svetlana Alexievich è la quattordicesima donna insignita del Premio Nobel e la seconda vincitrice di origini ucraine dopo Shmuel Yossef Agnon che vinse il Premio Nobel per la Letteratura nel 1966.
Tra i delusi anche quest’anno vi sono Cormac McCarthy, Ian McEwan, Joan Didion e Joyce Carol Oates.
Riccardo Mainetti