Madrid è invasa da giovani cattolici.
Ieri, 16 agosto, è iniziata ufficialmente la giornata mondiale della gioventù. Che poi, ad essere precisini, di giornata terrestre non si tratta visto che Madrid sarà interamente ricoperta da santità fino a domenica 21.
Ma nemmeno di gioventù si tratta. Nel catechismo non facevano che ripetercelo: generalizzare fa male. Parliamo allora di gioventù cattolica. Che sempre gioventù è, ma una parte.
La Giornata Mondiale della Gioventù, per gli amici JMJ, conviene a molti.
Conviene alla Chiesa, che mostra i muscoli (e si sa, i muscoli giovani sono molto più attraenti), conviene alla città di Madrid ed ai suoi commercianti (che vedono respirare le loro casse in un agosto altrimenti secchissimo), conviene allo Stato spagnolo, ben felice di offrire un palcoscenico ad una gioventù disegnata come buona allegra ed ottimista (ovviamente da contrapporre alla gioventù ribelle, cattiva e pessimista del movimento degli Indignados).
I molti ragazzi che hanno occupato pacificamente Puerta del Sol per quasi due mesi crearono un servizio d’ordine di pulizia per lasciare la piazza migliore di come l’avevano trovata. Applaudivano nel linguaggio dei sordomuti, alzando e rotando le mani, per non far troppo rumore durante le assemblee. Chiedevano un luogo di aggregazione propositiva, una nuova Agorà. Sono stati invece cacciati con la forza due settimane fa per far spazio ad un’altra occupazione, questa volta però di ragazzi buoni, quelli col timbro di garanzia. Ragazzi che sporcano, tanto c’è chi pulirà, che creano un’allegra e responsabile confusione fino a notte fonda, tanto tra gente buona ci si comprende.
È questa distinzione tra ragazzi buoni e ragazzi cattivi che mi spaventa. Il ragazzo buono può sedersi per strada in gruppi di 100 e leggere versi della bibbia, cantare e pregare. Il ragazzo cattivo può sedersi per strada in gruppi di 100 e leggere versi de “Il Capitale”, cantare e pregare chi gli pare. Ci penserà il filtro dell’opinione pubblica, adeguatamente ingrassato dall’informazione di massa, ad approvare o criminalizzare una o l’altra manifestazione.
Fin qui tutto normale, quasi banale. Il fenomeno preoccupante è invece un’altro: questa distinzione tra ragazzi buoni e ragazzi cattivi è stata costruita così ad arte ed ha basi così profonde che sono ora gli stessi ragazzi a crederci e a rinforzarla.
Ed ecco che i ragazzi buoni possono lasciare montagne di spazzatura per le strade, far chiudere una città intera, occupare lo spazio pubblico e basicamente vivere sentendosi giustificati e “protetti” dal loro essere buoni.
Al contrario i ragazzi cattivi possono riunirsi, proporre idee, sensibilizzare, manifestare, occupare lo spazio pubblico ma sempre sentendosi addosso il peso del loro essere cattivi. E da qui la ricerca di organizzazione (nell’ordine e nella pulizia), di dialogo, la voglia di smarcarsi da qualsiasi marchio o insegna politica. Ci si spoglia da ogni immagine per ritornare individui, per essere percepiti anche dall’esterno come “buoni”, come affidabili.
Ma quanto sarebbe bello se, invece di adattare la nostra immagine ai filtri sociali o approfittar della stessa se buona, si provasse a riformulare l’idea di base, ci si rendesse conto del nostro essere costantemente strumentalizzati da istituzioni religiose e/o politiche, del nostro essere volontariamente funzionali ad un sistema che non ci garantirà nessun futuro?