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Presidenza Senato: il Procutare Antimafia Pietro Grasso batte l'avvocato di mafia Renato Schifani

Creato il 16 marzo 2013 da Tafanus

Aspiranti "seconde cariche" a confronto: Renato Schifani (avvocato di mafia), e Pietro Grasso (Procuratore Nazionale Antimafia)

Renato Schifani, avvocato di mafia (Di Lirio Abbate e Gianluca Di Feo - l'Espresso)

Nel 1983 Giovanni Bontate, l'uomo più ricco di Cosa Nostra, si affidò a un legale palermitano ancora poco noto. Che lo difese fino alla Cassazione. Era il futuro presidente del Senato, Renato Schifani. Che non l'ha mai rivelato (04 novembre 2010)

Presidenza Senato: il Procutare Antimafia Pietro Grasso batte l'avvocato di mafia Renato Schifani Giovanni Bontate e Renato Schifani

Il 4 dicembre 1983 dal carcere dell'Ucciardone parte una raccomandata. E' firmata da Giovanni Bontate, l'uomo più ricco di Cosa nostra, fratello del padrino Stefano che armi alla mano aveva lottato per fermare l'ascesa dei corleonesi ed era stato ucciso su ordine di Totò Riina: l'ultimo esponente della famiglia mafiosa più importante di Palermo. Giovanni Bontate è ancora temuto, ma tutte le sue proprietà - immobili e aziende per un valore di decine di miliardi di lire - sono finite sotto sequestro.

Per questo dalla cella decide di affidarsi a due difensori di fiducia, un penalista e un brillante civilista, Renato Schifani.

L'attuale presidente del Senato all'epoca aveva 33 anni ed era un giovane avvocato di belle speranze. Di quell'incarico, che segnò il suo ingresso tra i nomi di rilievo del foro di Palermo, Schifani non ha mai parlato. Due mesi fa, di fronte alle rivelazioni di Gaspare Spatuzza che ne hanno determinato l'iscrizione nel registro degli indagati con l'ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa, il suo portavoce ha precisato: "La sua pregressa attività di avvocato è stata sempre improntata al pieno e totale rispetto di tutte le leggi e di tutte le regole deontologiche proprie dell'attività forense".
"L'espresso" ha recuperato gli atti di quel procedimento, in cui come legale di Giovanni Bontate Schifani ha prodotto corpose memorie difensive, seguendo il tesoriere di Cosa nostra fino alla Cassazione. L'avvocato non si è mai occupato delle questioni penali, ma soltanto di contestare il sequestro dei beni ed impedire che venissero confiscati. Per quasi cinque anni ha assistito il boss, studiandone le proprietà per sostenere con minuziosi interventi la legittimità delle sue ricchezze e soprattutto cercando di dimostrare i limiti dell'attività degli investigatori [...]

Nella sua memoria difensiva, Schifani sottolinea più volte i "fondati e sostanziali rilievi di incostituzionalità della legge Rognoni-La Torre" che inverte l'onere della prova: sono i mafiosi a dover dimostrare come hanno fatto a guadagnare i loro beni per evitare che il sequestro divenga confisca. Proprio questo era stato l'elemento rivoluzionario di quel provvedimento, che aveva costretto Cosa nostra a riorganizzare l'investimento dei colossali profitti del narcotraffico sull'asse Palermo-New York dominato dai Bontate. Fenomeni criminali ampiamente descritti nella documentazione usata da Schifani nelle udienze per tutelare il suo assistito, che intanto veniva condannato a nove anni nel maxiprocesso.
L'attività legale prosegue fino alla Cassazione, cercando di evitare che lo Stato incamerasse il più grande sequestro di beni realizzato in quella drammatica stagione segnata dai novecento morti della guerra di mafia scatenata da Totò Riina. Ma a rendere superflua l'opera dell'avvocato furono i killer corleonesi: nel settembre 1988 Giovanni Bontate, agli arresti domiciliari per motivi di salute, e la moglie vennero assassinati in uno degli ultimi delitti eccellenti di quella stagione. Automaticamente, con la loro morte una parte del sequestro venne annullata e altre misure di prevenzione furono bloccate: case e terreni vennero riconsegnati agli eredi che ne sono ancora i legittimi proprietari. Un buco nero nella legge Rognoni-La Torre, nata come provvedimento d'emergenza, cancellava infatti ogni misura al momento del decesso del boss.

Oggi il senatore Schifani ha un'altra linea e nei suoi interventi parlamentari si vanta di avere eliminato quella falla, che per 16 anni ha impedito di chiudere la rete intorno a molti tesori di Cosa nostra: "Questa legislatura ha dimostrato di essere partita bene per ciò che riguarda l'aggressione ai patrimoni dei mafiosi. In particolar modo sono state inasprite le norme che riguardano la possibilità di sequestrare i patrimoni, coprendo anche quelle zone d'ombra ancora esistenti nella legislazione che ci erano state segnalate da diversi magistrati. Tra queste spiccano norme che offrono la possibilità di sequestrare anche i beni di persone nel frattempo morte, rivalendosi sugli eredi". [...] Pietro Grasso, Procuratore Nazionale Antimafia 

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target="_self">(Fonte: Wikipedia)

Pietro-grasso
Pietro Grasso comincia il proprio cursus honorum in magistratura nel 1969 come pretore a Barrafranca. Sostituto Procuratore al Tribunale di Palermo, intorno alla metà degli anni settanta si occupa di indagini sulla pubblica amministrazione e sulla criminalità organizzata. Diviene titolare dell'inchiesta riguardante l'omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella il 6 gennaio 1980.

Il maxiprocesso - Nel 1984 ricopre l'incarico di giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa nostra (10 febbraio 1986 -10 dicembre 1987), con 475 imputati. Pietro Grasso, a fianco del presidente della corte Alfonso Giordano, è stato estensore della sentenza (oltre 8.000 pagine) che inflisse 19 ergastoli e oltre 2600 anni di reclusione [...]

A Palermo da Procuratore della Repubblica dall'agosto del 1999, sotto la sua direzione, dal 2000 al 2004, sono state arrestate 1.779 persone per reati di mafia e 13 latitanti, che erano inseriti tra i 30 più pericolosi. Nello stesso arco di tempo la procura del capoluogo siciliano ha ottenuto 380 ergastoli e centinaia di condanne circa per un totale di migliaia di anni di carcere [...]

L'11 aprile 2006 contribuisce con il suo lavoro, dopo anni d'indagine, alla cattura di Bernardo Provenzano nella masseria di Montagna dei cavalli a Corleone, latitante dal 9 maggio 1963.

Il 18 settembre 2006 la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, con il contributo della Procura Nazionale diretta dal procuratore nazionale Grasso, conclude un'indagine durata due anni riguardante l'azione di alcune cosche mafiose di Vibo Valentia, che avevano messo le mani sui villaggi turistici della costa. Le cosche in questione sono La Rosa di Tropea e quella dei Mancuso di Limbadi, che ricavavano ingenti guadagni dal controllo degli appalti per la costruzione e la fornitura dei villaggi vacanze nella zona di Catanzaro. L'operazione Odissea si conclude con 41 procedimenti di custodia cautelare [...]

A partire dal settembre 2012 per Rai Storia Pietro Grasso conduce "Lezioni di Mafia", in 12 puntate: un progetto di educazione alla legalità, dedicato alle generazioni più giovani per spiegare tutti i segreti di Cosa Nostra. Il programma si ispira alle lezioni di mafia ideate nel 1992 dal direttore del TG2 Alberto La Volpe assieme a Giovanni Falcone, una delle ultime iniziative del magistrato palermitano stroncata dall'attentato di Capaci. A vent’anni di distanza, sollecitato in riguardo, Grasso ha accettato di tornare a raccontare ai giovani il fenomeno mafioso. Lezioni di Mafia scava dentro il sistema mafioso e ne restituisce una radiografia fatta di nomi, regole, storie, rete di complicità, intrecci, misteri, ambiguità. Nella prima puntata ha spiegato com'è formata la Cupola mafiosa [...]


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