Questo tipo di conto economico si basa sulla ripartizione dettagliata dei costi (variabili e fissi, diretti e indiretti), e consente elaborazioni di grande valore pratico, prima fra tutte il calcolo del punto di pareggio, o “break even point”, oltre a diversi indici utili.
Non a caso si tratta del sistema contabile adottato per il controllo di gestione, e utilizzato dagli esperti amministrativi in generale: lo si ritrova praticamente in tutte le aziende, in quanto viene impiegato per redigere il bilancio di esercizio.
Il suo principale difetto è che richiede dati precisi; per essere costruito al livello di dettaglio utile al manager operativo, e quindi non solo per l’insieme dell’azienda, ma per prodotto, segmento di mercato, area geografica, ecc., richiede un sistema dettagliato di contabilità industriale, di cui non tutte le aziende dispongono, oppure che molti valori siano semplicemente stimati in modo approssimativo, diminuendone l’utilità come strumento di controllo.
In questo tipo di conto economico i costi vengono suddivisi tra variabili e fissi da un lato, diretti e indiretti dall’altro.
• I costi variabili sono quelli che variano in funzione della quantità di quanto prodotto e venduto, ad esempio materie prime, semilavorati, imballi, energia elettrica, prestazioni di terzi, trasporto, provvigioni agli Agenti.
• I costi fissi, o di periodo, sono quelli che non variano in funzione del volume di vendita per il periodo di durata del piano (tipicamente l’anno), ad esempio spese generali dell’azienda, amministrazione, personale dipendente, ricerca e sviluppo, affitti, assicurazioni.
La fissità dei costi non è assoluta: può accadere ad esempio che, in caso di sensibile aumento o diminuzione delle vendite, diventi necessario assumere o licenziare persone, ma questo non rende il costo del personale un costo variabile: il costo, una volta incrementato o diminuito, resta poi fisso al suo valore mensile fino ad in nuovo intervento o allo scadere del periodo di piano.
Alcuni costi, detti semivariabili, sono composti da una parte fissa e una variabile (ad esempio quello dei venditori remunerati con uno stipendio fisso più provvigioni variabili in funzione del venduto), e per redigere correttamente il conto economico occorre separare la parte fissa da quella variabile.
- I costi diretti (o specifici) sono quelli che si riesce ad attribuire direttamente ad un prodotto: i costi di lavorazione (materie prime, componenti, ecc.), spesso quelli di distribuzione, vendita, e assistenza, ma anche ad esempio la ricerca e sviluppo effettuata per quello specifico prodotto. I costi diretti possono essere sia variabili (ad esempio le materie prime utilizzate) che fissi (ad esempio la quota dello stipendio di un operaio proporzionale al tempo che l’operaio ha dedicato a quel prodotto)
- I costi indiretti (o comuni) sono quelli che riguardano più prodotti o reparti, o addirittura tutta l’azienda nel suo insieme, e non si riesce ad attribuirli ad uno specifico prodotto (ad esempio l’affitto di un capannone in cui si costruiscono diversi prodotti, o lo stipendio del Responsabile amministrativo che segue l’insieme dell’azienda). Questi costi vengono imputati in quota ad ogni prodotto, e sono tutti costi fissi.
1. Il fatturato netto, già depurato di sconti e resi, da cui, nella logica del conto scalare, si detraggono via via tutte le voci di costo. Il fatturato può essere riferito al singolo prodotto, ma anche al segmento, al canale, o all’area geografica, come semplice sommatoria dei fatturati ivi realizzati con le singole vendite.
2. I costi variabili di produzione cioè l’acquisto delle materie prime, dei componenti acquistati all’esterno e assemblati, le lavorazioni svolte da terzi (ad esempio da società specializzate esterne), ecc., purché siano funzione diretta dei volumi di produzione.
Per le aziende commerciali, che si limitano alla commercializzazione di prodotti realizzati da altri, in questa voce verrà considerato solo il costo di acquisto dei prodotti finiti da rivendere.
Fatturato netto meno costi variabili di produzione rappresenta il VALORE AGGIUNTO O MARK UP, un indice che consente di calcolare quanto il prodotto contribuisca a coprire tutti i costi interni dell’azienda.
l suo principale utilizzo è nelle aziende commerciali con il nome di “mark up”, per cui rappresenta il principale indicatore della redditività dei diversi prodotti venduti. Di fatto, la cifra espressa dal mark up coincide con la quota di ricarico sul prodotto effettuata dal commerciante.
3. I costi variabili di gestione (commerciali, di distribuzione, ecc.), cioè tutti gli altri costi non di produzione che variano direttamente con il variare dei volumi di vendita, a prescindere dalla destinazione. Possono essere costi riferiti alla commercializzazione (ad esempio le provvigioni agli Agenti), alla distribuzione (ad esempio i costi di consegna), all’assistenza (ad esempio l’installazione presso il cliente), ecc.
Il fatturato meno tutti i costi variabili (di produzione e gestione) rappresenta il MARGINE DI CONTRIBUZIONE (LORDO), un indice fondamentale in quanto necessario per calcolare in seguito il punto di pareggio, o Break Even Point. Il nome “margine di contribuzione” deriva dal fatto che questo indice calcola quanto il prodotto, detratti i suoi costi variabili, contribuisce a pagare i costi fissi.
Di solito, quando si dice “margine di contribuzione” senza ulteriori specifiche si intende il margine di contribuzione lordo.
4. I costi fissi diretti, dedicati solo a quel prodotto, o il cui costo si può ripartire facilmente tra i diversi prodotti. Possono essere di produzione (ad esempio l’ammortamento, cioè la rateizzazione, del costo di una macchina utensile che fabbrica solo quel prodotto), commerciali (ad esempio lo stipendio del Product Manager che segue soltanto quel prodotto), amministrativi (ad esempio l’affitto di un magazzino in cui si conserva solo quel prodotto), ecc.
Essendo costi che restano fissi per un certo periodo, l’imputazione nel conto economico verrà fatta per anno, o frazione di anno.
L’insieme di tutti i costi diretti, variabili e fissi, che sono stati via via sottratti fino a questo punto è detto “costo del venduto”, visto che rappresenta quanto è costato in totale produrre e gestire i prodotti che sono stati venduti
Fatturato netto meno tutti i costi diretti, variabili e fissi, rappresenta il MARGINE DI CONTRIBUZIONE NETTO, più noto come MARGINE INDUSTRIALE. Esso rappresenta l’indice di in che misura il prodotto, detratto quanto è costato realizzarlo, commercializzarlo e gestirlo in termini industriali (non finanziari), contribuisce alla fine pagare i costi fissi comuni a tutti i prodotti dell’azienda e a produrre reddito.
Si tratta di un indice affidabile e ragionevolmente preciso della qualità della gestione dei manager operativi: essi infatti possono essere ritenuti responsabili del buon utilizzo delle risorse direttamente utilizzate per il prodotto e la sua gestione, ma non per i costi generali di azienda, o per gli oneri finanziari, che non dipendono da loro.
5. I costi fissi indiretti, detti anche costi operativi o costi generali, che incidono in modo indifferenziato su tutta l’azienda in quanto sono sostenuti per il funzionamento dell’azienda nel suo insieme. Non essendo attribuibili direttamente, sono imputati per quota ad ogni prodotto.
Le principali voci che li compongono sono:
• costi generali di produzione, cioè quelli che si riferiscono a tutti i prodotti realizzati nella stessa unità produttiva (ad esempio lo stipendio del responsabile di produzione).
• costi generali commerciali, ad esempio la partecipazione ad una fiera
in cui viene presentato tutto il catalogo, o lo stipendio del direttore commerciale
• costi generali amministrativi, che si riferiscono all’organizzazione, gestione e amministrazione dell’azienda nel suo insieme.
• altri costi generali, cioè tutto quanto non considerato nelle voci precedenti.
I costi generali, non potendo essere attribuiti con precisione ad ogni prodotto, vengono ripartiti tra i prodotti in una percentuale fissa stabilita a priori. I criteri di suddivisione (detti “cost drivers”) più utilizzati sono:
• proporzionalmente al fatturato generato. si tratta del criterio più ampiamente utilizzato
• proporzionalmente ai costi diretti. questo criterio è utilizzato soprattutto nelle aziende industriali in cui incidono pesantemente i costi diretti di produzione, che “si trascinano dietro” tutti gli altri costi
• in percentuale fissa, uguale per tutti. tratta di un criterio semplice, ma poco utilizzato, in quanto può dare risultati fuorvianti se applicato a prodotti con fatturati molto diversi.
La metodologia di ripartizione dei costi generali, utilizzata è una convenzione, nessun criterio è valido in assoluto: per esempio, lo stipendio dell’addetto al centralino è un costo indiretto che deve essere attribuito in qualche modo, ma è poco probabile che esso dedichi alle telefonate riferite ad ogni prodotto un tempo proporzionale al fatturato da esso generato, o ai suoi costi diretti, o meno ancora un tempo uguale per tutti.
Tuttavia, non si tratta di una scelta senza conseguenze pratiche: ad esempio, se ad un prodotto è stata attribuita una quota dei costi generali superiore a quella attribuita da un concorrente ad un prodotto analogo, per ricavare dal prodotto un reddito operativo dello stesso livello di quello ottenuto dal concorrente l’azienda dovrà stabilire un prezzo di vendita superiore.
Fatturato meno tutti i costi, variabili e fissi, diretti e indiretti, imputati al prodotto rappresenta il REDDITO OPERATIVO da cui, nel bilancio di esercizio, si toglieranno ancora le voci riferite alla gestione finanziaria e le imposte per arrivare all’utile netto.
Per la gestione operativa aziendale e il budget ci si ferma comunque al reddito operativo (da qui il nome).
Nel precedente articolo avevamo parlato di Pricing e conto economico.