C’è un fenomeno che, osservabile senza dubbio anche al di fuori del nostro contesto, qui però si carica di tratti fastidiosamente peculiari. Parlo della tendenza, attivata in modo ricorsivo, a ricadere entro formule o schemi di pensiero completamente usurati e sclerotizzati, inefficaci insomma a risolvere proprio le questioni che s’intenderebbero affrontare. Faccio subito due esempi per farmi capire.
Da qualche giorno sui muri dei principali comuni della provincia sono affissi vistosi manifesti che ritraggono la consigliera della Lega Elena Artioli mentre emette il suo appello a sabotare il censimento in corso d’espletamento in nome dell’affermazione del diritto a dichiararsi “mistilingui”. Proprio perché autoproclamatasi da tempo paladina di questa causa, Artioli dovrebbe ormai sapere che se il termine “mistilingue” può essere riferito a una popolazione che parla (o a una regione in cui si parlano) lingue diverse, senza però dirci nulla su come queste lingue vengono effettivamente parlate, la definizione corretta per caratterizzare in modo specifico individui in grado di esprimersi con equiparabile abilità in più di una lingua è invece “bilingue” o “plurilingue”. Sottigliezze trascurabili? Meno di quanto sembra. Da questa imprecisione discendono infatti implicazioni (in primo luogo di politica linguistica e glottodidattica) assai rilevanti per la costruzione di una società che voglia puntare a un chiaro e desiderabile traguardo “plurilinguistico”. Una cosa ben diversa rispetto a un malcerto e generico “mistilinguismo” che assomiglia alla famosa notte in cui tutte le vacche sono nere.
Secondo esempio. Per la ricorrenza del 4 novembre – che celebra le forze armate congiuntamente al ricordo dei militi (di tutti i militi, come si vorrebbe far credere) caduti durante la prima guerra mondiale – alcuni politici nostrani cedono sempre al riflesso condizionato di deporre corone di fiori davanti ai simboli della conquista territoriale invisi alla popolazione di lingua tedesca. E allora ecco le inevitabili polemiche di Brunico tra il sindaco e il vicesindaco, l’inopportuno pellegrinaggio alla tomba di Ettore Tolomei, l’omaggio agli ossari e al Monumento della Vittoria, tutti siti che con fatica si sta cercando di rileggere o storicizzare in chiave museale rendendoli finalmente inadatti a costituire il teatro di manifestazioni buone solo a riacutizzare le divisioni e le incomprensioni ereditate dal passato.
Perché risulta così difficile spezzare o almeno sospendere questo genere di automatismi? Perché, prima di parlare o di agire, non c’interroghiamo sugli effetti collaterali delle nostre parole e delle nostre azioni? C’è qualcuno che ha voglia di aiutarmi a trovare una risposta?
Corriere dell’Alto Adige, 8 novembre 2011