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Primarie per i parlamentari – quando le regole si trasformano in deroghe

Creato il 28 dicembre 2012 da Goodmorningumbria @goodmrnngumbria

di Darko Strelnikov

Si chiamano regole le protagoniste dell’operazione di salvataggio dalla famosa e temuta “rottamazione” dell’intero gruppo dirigente del Partito Democratico. Dovremmo dire l’uso di esse, più che le regole stesse. Perché è indubbio che punti di riferimento normativi e di comportamento ci vogliono in un partito che si rispetti. Ma la regola ha un suo preciso campo di azione e non può venire interpretata a seconda delle convenienze. Se no si rischia di scambiare la giurisprudenza con l’opportunismo. Invece sono accadute cose che ricordano questo scenario. Ci sono le primarie per il Premier, Renzi diventa un concorrente pericoloso e allora si mettono in piedi una serie di rigidissimi paletti che impediscono una più larga partecipazione di massa, che, si pensa, favorirebbe il sindaco di Firenze. E per evitare “pericolosi inquinamenti”, al secondo turno non potevi votare nemmeno se avevi la giustificazione firmata da Napolitano in persona e nemmeno se mostravi una bolla papale che certificava che eri morto il venerdì e resuscitato la domenica quando i seggi erano già chiusi. “Ah le regole, sono regole e vanno rispettate”, era il motivetto che ci siamo sentiti ripetere per settimane. Se no sei un anarchico, un eversivo, un populista, uno sfascista, un rompi ecc. Ma poi, quando si è passati alle candidature, quando si è trattato di salvare l’oligarchia, la rigidità è sparita ed è stata sostituita da un’altra parolina magica : “deroga”. “Ne abbiamo concesse solo 10” , ha tuonato l’offeso Bersani, sapendo di dire una cosa inesatta, al limite della bugia. La deroga ha riguardato centinaia di parlamentari del Pd. Perché il segretario omette di aggiungere che la regola era stata già ritoccata. Lo statuto diceva “tre volte e più moltiplicar non deve”. Cioè chi aveva fatto tre legislature non poteva essere ricandidato. Quasi metà degli attuali Deputati e Senatori del Pd erano “fuori con l’accuso”. Allora le tre legislature sono diventate 15 anni. L’allungamento dei tempi ha miracolato quasi tutti. Una soglia portentosa , perchè al di sopra di essa c’erano solo 22 persone. 12 hanno deciso di non ricandidarsi e i 10 rimasti sono stati “derogati”. Le regole delle tre legislature e dei 15 anni, valevano così poco, che non hanno fatto nemmeno una vittima. Semplicemente perché non sono state attuate, ma “derogate”. Restano per la propaganda. E i salvati, non solo possono tornare a sperare, ma, in gran parte, eviteranno pure le forche caudine delle primarie, perché verranno accolti nell’ampia lista di “nominati” a disposizione del segretario. Una lista che può arrivare fino a 140 posti pari al 40% circa dei possibili eletti (94 vengono dal 10% del totale dei candidati, ai quali vanno aggiunti i 46 capilista,). Ma questa non è stata la sola regola “barzelletta” che viene disattesa. La Direzione del Pd ha detto che dalla corsa al parlamento sono esclusi gran parte degli amministratori regionali e locali in carica. Non ci credete! Anche qui hanno messo la deroga. Chi aveva le dritte giuste, le conoscenze giuste e chi apparteneva alla corrente giusta, ha tranquillamente bypassato la regola ed è rimasto in pista . Domando! Ma che senso ha fare delle regole che rispondono al detto “fatta la legge trovato l’inganno”? Ha senso, ha senso. Perché in tutti questi casi che abbiamo ricordato “devi chiedere” ed ottenere il permesso da altri, ai quali poi dovrai essere riconoscente per la nomina ottenuta. Nella cultura politica di oggi, purtroppo, sono sempre meno gli uomini e le donne che, usano il profumo e il dopobarba dell’indipendenza, quello che gli permetterebbe di “non dover chiedere mai”. Traducendo in Umbro questo significa che, prendendone una a caso, Marina Sereni, dopo tre legislature portate a termine, si farà la quarta, probabilmente da capolista alla Camera, senza affrontare, almeno per una volta nella sua vita, un vero confronto elettorale. Eletta sotto l’ombrello del Pci (cioè “nominata”, visti i meccanismi di quel partito), Consigliere Regionale nel lontanissimo 1985, ha fatto l’assessore regionale esterno (cioè “nominato” direttamente dal Presidente della Giunta) dal 1993 al 2001, quando è entrata in Parlamento per effetto della “nomina Ds” in un collegio uninominale blindato, dove è stata confermata nel 2006 e nel 2008 nelle liste di “nominati” del Porcellum di Ulivo e Pd. Apro una parentesi. L’ on. Sereni è donna intelligente in possesso di una robusta dose di cultura. Doti che le avrebbero dovuto produrre un sussulto d’orgoglio. Con questo curriculum sarebbe stato forse meglio dare uno schiaffo morale a tutti, come hanno fatto la Bindi, la Finocchiaro, Fassina ecc. ed affrontare il confronto elettorale del 29 e del 30 dicembre. Per dimostrare che, come credo, il consenso nella sua terra non gli manca e che anche senza nomina, lei è una leader riconosciuta ed apprezzata dagli elettori di centrosinistra. Chiusa la parentesi. Comunque non pensate che sia una privilegiata o una eccezione che conferma la regola. La sua è una storia comune dentro la nomenclatura della finta sinistra postcomunista. Una storia che adesso viene riproposta attraverso questi marchingegni regolamentari, che delineeranno un finale già scritto. Tra deroghe, listini e primarie, il nocciolo duro del gruppo dirigente troverà posto in parlamento. Alla faccia del vero rinnovamento. In questo quadro giocherà un ruolo rilevante la nuova pratica del doppio voto di genere (si può scegliere un uomo e una donna), che può anche produrre qualche sorpresa. Chi si presenterà da solo senza un ticket con un candidato dell’altro sesso, avrà poche possibilità di farcela. L’accoppiamento è imprescindibile. E la possibilità ha messo in pista una quantità industriale di donne del partito. Di per se, la cosa è più che positiva. Ma se si va a guardare i nomi si scopre che si tratta di persone (non proprio tutte) che nel Pd recitano la parte “delle quote” o al massimo vivono di luce riflessa. Sono date ai nastri di partenza e in cerca di un uomo (che malignate; di un candidato uomo), l’assessora comunale al “cemento a pronta presa” Valeria Cardinali. Il suo sposo dovrebbe essere il Sindaco di Umbertide Giulietti che avrebbe accettato anche qualche possibile “accoppiata” con il segretario Bottini. Dopo aver avuto il merito (sic), Insieme al segretario Gatticchi e all’assessore Regionale Fernanda Cecchini, di aver “contenuto Renzi” a Città di Castello, evitando il cappotto, Anna Ascani viene accreditata come principale partner del segretario regionale Lamberto Bottini. Giuliana Falaschi sindaco di Citerna farà coppia con Giampiero Bocci che avrebbe rispolverato l’antico sodalizio con Marco Vinicio Guasticchi. Tenuto conto che Roma ha già fato sapere che quattro degli otto posti sicuri saranno occupati dal listone nazionale, quello che rischia di più è Bottini. Non ha un territorio sicuro a cui fare riferimento, nemmeno il suo. Perugia è infatti “occupata”, oltre che dai renziani, dalle truppe del Sindaco Boccali e dell’assessore Cernicchi, che faranno campagna per la Cardinali. Dovrà misurarsi anche con l’ostilità dell’assessore Provinciale Piero Mignini che nel capoluogo, al Trasimeno e in altre contrade dell’Umbria può contare sull’appoggio di diversi circoli che, dicono, metterà a disposizione del candidato di Maria Rita Lorenzetti, l’assessore comunale di Foligno Flagello. Troverà difficoltà anche a Spoleto diviso tra Bocci e lo stesso Flagello e nella zona appenninica. Voci di palazzo dicono che Todi e Marsciano la Governatrice Marini le metterà a disposizione della Cardinali e di Giulietti, per cercare di vincere il derby con la “Zarina”. Insomma dovrà trovare parecchi voti dappertutto per ottenere l’unico risultato che spetta al segretario. Arrivare primo. Ed è proprio questo risultato che attendono un po’ tutti, per iniziare la corsa alla segreteria, che, vada come vada, Bottini sarà costretto a lasciare, aprendo di fatto il congresso del partito. Eh si perché il Pd è come ai baracconi : “ signori in carrozza, altro giro, altra corsa”.



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