studentessa
Ora che sono laureato, arrivano elogi, auguri, stima e, anche se è fuori luogo data la mia età, anche ‘fastidi’ nella testa di qualcuno.
Ma un dottore non nasce il giorno della laurea, quando si discute in in giorno importante la propria tesi.
Il laureato è, in nuce, già quella persona che si informa sul sito Web dell’Università, della propria facoltà, è quel giovane che va a lezione prendendo appunti, che passa il tempo a studiare anche discipline che detesta pur di poter appassionarsi ed essere preparato in quelle che ama.
Ho notato in questi anni che la qualifica di studente universitario non gode di nessuna considerazione particolare; si è studenti spremuti dalle tasse, dagli editori dei libri, sottoposti a pressioni alle volte terribili per sostenere il peso degli esami e, mi si consenta, di alcuni docenti universitari che si permettono di considerarli dei numeri.
Le uniche gioie sono quelle relative all’esame superato, al voto insperato: ma io, in questi anni, ho condiviso la gioia solo con i miei genitori; troppo impegnati nei loro affari, per la loro famiglia, gli altri non capirebbero cosa c’è di speciale in un ragazzo che passa il tempo senza lavorare.
Già di una stima superiore gode colui, che come me, ha passato il tempo degli studi lavorando e studiando insieme, anche viaggiando per 160 km al giorno per due ore di lezione; anzi, l’unico motivo di cui andare fieri da studenti universitari, è proprio quello di mantenere gli studi, come se lo studio non fosse moneta sufficiente per ripagare la propria famiglia dei sacrifici economici.
Personalmente, ho sostenuto tutti gli ultimi esami impegnato in lavori part-time ed insieme occupandomi dei miei siti Web, altra fonte di guadagno ma anche di soddisfazioni personali: ma adesso, che non ho necessità di passare intere giornate sui testi in preparazione di un esame, con relativo prosciugamento delle risorse psicofisiche, sento un vuoto ed insieme un sottile senso di rabbia verso quella parte della società che per anni non ha considerato per nulla il mio sforzo di seguire lezioni, di viaggiare, di leggere e rileggere libri, talvolta pesanti, altre volte scritti in linguaggio oscuro, sempre fonti di domande, dubbi, e che ora mi tributa onori come fossi un luminare. Signori, dottori, professori: se oggi ho un titolo di studio, non è per una vincita ad una lotteria per pochi eletti, non è per una particolare genialità nell’affrontare discipline che la massa non conosce, non è perché sono finalmente qualcuno mentre prima ero nessuno (entrambe cose non vere); nello studente c’era già quello che voi finalmente considerate, nei giorni di impegno c’era la materia di cui sono fatto oggi; l’albero ha messo frutti perché già prima era germoglio, perché trasformava la luce del Sole in alimento per sé stesso e in ossigeno per il pianeta.
In poche parole, non tributate onori ad un titolo di studio che ha valenza sociale, quando dimenticate che dietro ci sono sacrifici, impegno, ansie, paure e anche lacrime, rabbia: non è né giusto né intelligente né utile.
Il saluto mio personale e l’incoraggiamento vanno a tutti gli studenti e ai loro familiari: cercate sempre di non arrendervi, di creare le condizioni di serenità e dialogo che permettano di arrivare alla meta soffrendo il meno possibile. Per le persone di livello sociale non elevato non è facile, certo, ma bisogna sempre pensare per il meglio e vivere gli anni universitari come un periodo unico della propria vita, volendo privi di quelle tensioni ben più gravi che l’esistenza in questa valle di lacrime ci riserva dietro ogni angolo. Questo scritto, mi capirete, è più un pacato sfogo personale che un articolo sociologico: ma ci vuole anche questo nella vita, parlare di aspetti che altri non conoscono ma si è vissuti direttamente, oppure che conoscono e che si vuole ricordare, condividere, affermare con forza, affinché arrivi una cultura della comprensione, dell’empatia; per evitare che tutti ci sembri scontato, senza valore; per evitare l’indifferenza tra di noi.