Problema o palliativo

Creato il 25 maggio 2012 da Propostalavoro @propostalavoro

Torniamo a parlare di un tema che ci sta molto a cuore: la riforma del lavoro. Da tempo, nel nostro blog, scriviamo della necessità di una riforma del mercato del lavoro, per dare una scossa ad un sistema in caduta libera: quest'anno calano Pil (l'Istat dice -1,5%, l'Ocse -1,7%) e produzione industriale (-1,3% sottolinea l'UE), mentre crescono disoccupazione (9,9% entro fine anno, secondo l'Ocse) e tasse (la pressione fiscale sulle persone fisiche è arrivata al 47,3%, dati Eurostat). Insomma, non serve un genio, per capire che siamo messi male.

Dal governo Monti e, in particolare, dal ministro Fornero è arrivata la riforma epocale, attualmente in discussione in Parlamento, sotto forma di disegno di legge, che dovrebbe essere la panacea di tutti i mali. Ebbene, proprio di questo ha parlato Giorgio Squinzi, nuovo presidente di Confindustria, nel giorno del suo insediamento, per ribadire quanto già affermato in passato: i veri problemi del lavoro, in Italia, sono la burocrazia, la tassazione, la carenza di infrastrutture e la difficoltà di accesso al credito, non certo l'articolo 18. Guarda caso, di tutti questi temi, neanche uno rientra nella riforma epocale. Ma allora come spera il ministro Fornero di risolvere la questione? Serve davvero una riforma del mercato del lavoro? Certo che sì, ma non come quella che stanno preparando. Non si può sconfiggere il precariato, senza prima abolire il pacchetto Treu e la legge Biagi. Non si può facilitare l'accesso dei giovani al mondo del lavoro, se non si crea un ponte tra il sistema dell'istruzione con quello delle imprese (ad esempio, imponendo che stage e tirocini facciano direttamente parte del percorso formativo). Sono aspetti fondamentali che, però, vengono ignorati.

Ed un altro tassello fondamentale, che la riforma ignora, è quello della lotta agli abusi. Infatti, esistono aziende che hanno la pessima abitudine di utilizzare contratti a progetto e a partita iva, per mascherare forme del lavoro dipendente, ma un recente emendamento al disegno di legge mira a smantellare questo malcostume. Bene, ottimo, ma quali saranno gli strumenti di controllo? Perchè se c'è una cosa che mai e poi mai ha funzionato a dovere in questo Paese, sono proprio i controlli. La flessibilità è diventata precariato, proprio perchè nessuno si è mai preso la briga di tenere la situazione sotto controllo, vigilando su abusi ed eccessi e su questo punto non c'è la benchè minima indicazione. Un esempio? Nell'emendamento di cui sopra, non rientra nella categoria false partite iva, tra l'altro, il lavoratore che è iscritto ad un albo professionale, che ha acquisito "competenze teoriche di grado elevato" (cioè chiunque ha una laurea e/o un master) o che ha maturato "capacità tecnico/pratiche rilevanti” (cioè chiunque ha un diploma tecnico professionale, ha seguito un corso di formazione professionalizzante o ha maturato delle esperienze lavorative, anche minime). Ma, allora, come si possono distinguere le false partite iva da quelle vere? La risposta degli autori della riforma epocale è un lampo di genio: se in azienda non hai una scrivania tua, allora sei una vera partita iva!

Da tutto ciò, si deduce che la riforma, nel peggiore (e più probabile) dei casi, rischia di aggiungere problemi ad altri problemi; mentre, nel migliore dei casi, rischia di diventare niente più che un palliativo, una riforma all'acqua di rose.


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