Con il passare del tempo ci stiamo abituando a prendere dimestichezza con nuovi termini e soprattutto nuovi dispositivi relegati al mondo smartphone e dei dispositivi portatili, ma più in generale possiamo dire che la tecnologia si sta evolvendo ad un ritmo impressionante: 10 anni fa, i tablet non esistevano e neppure l’idea di poter mettere il proprio telefono nella tasca dei jeans sperando che passasse inosservato. Oggi invece siamo circondati dai dispositivi tecnologici: smartwatch e smartphone sono diventati sempre più piccoli, raggiungendo pochi millimetri di spessore, ma soprattutto sempre più potenti.
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Il cuore di ogni dispositivo elettronico, la parte più importante senza la quale il nostro amato smartphone sarebbe una scatola di plastica vuota e insignificante è il microprocessore o CPU (Central Processing Unit). E’ una “tavoletta” di silicio, chiamata chip, che al suo interno contiene tutti i minuscoli componenti quali conduttori, resistenze, transistor e condensatori che permettono l’esecuzione delle operazioni per l’elaborazione dei dati.
La tecnologia di produzione è molto sofisticata e complessa, tanto che il costo e la delicatezza di queste unità sono estremamente elevati. Quando vengono presentati nuovo processori, le aziende produttrici tendono a sottolineare il processo produttivo o costruttivo che solitamente viene espresso in nanometri; frasi come:”Lo smartphone monterà l’ultimo processore dell’azienda con processo costruttivo a 28nm” sono molto diffuse specie in riferimento alle caratteristiche degli smartphone.
Nulla di apparentemente strano, eppure potrebbe capitare che un utente curioso possa chiedersi se e quanto il processo costruttivo incida sulle prestazioni del proprio terminale. Non vi sembra strano che i processori sono più piccoli, ma hanno una potenza di calcolo maggiore e consumano di meno? Dopo tutto siamo condizionati dall’idea che più grande significhi anche più forte.
Un po’ di confusione è lecita, ma spero che al termine dell’articolo tutto sia più chiaro.
Che cos’è un nanometro?
Come anticipato, all’interno del processore sono contenuti microscopici componenti, disposti su una griglia di quadrati che agiscono come switch On e Off, permettendo e ostacolando il passaggio della corrente elettrica dando luogo ad una sequenza di segnali elettrici codificati nel sistema binario in 0 e 1.
La dimensione media del gate di ogni singolo transistor si misura, per l’appunto, in nanometri. Un nanometro non è altro che la miliardesima parte di un metro. Per capire quanto piccolo un nanometro sia, prendete come riferimento lo spessore medio di un capello umano: 80 000 nm. Capite dunque che, a parità di superficie, minore sarà la distanza tra i componenti del microprocessore maggiore sarà il loro numero. Ecco spiegato il motivo per cui processi produttivi più piccoli tendono a realizzare processori con una velocità di calcolo superiore.
E’ solo la distanza ad incidere sulle prestazioni?
Certamente no, giacché esistono molteplici modi in cui, diminuendo la larghezza del canale, cioè dello spazio tra i componenti della CPU, si ottengono soluzioni più efficienti. Rimpicciolendo il microprocessore, la capacità dei transistor di immagazzinare una carica elettrica(=capacitance) si riduce mentre aumenta la frequenza di commutazione.
La potenza di questo componente è determinata dal periodo impiegato per suo il cambiamento di stato, per l’appunto la commutazione, e rappresenta l’unico istante in cui la potenza>è dissipata; ed essendo questa direttamente proporzionale alla capacitance, quando la tecnologia riduce la grandezza dei canali, riduce anche la potenza dissipata. La risultante è un transistor, più correttamente detto MOSFET (Metal Oxide Semiconductor Filed Effect Transistor), con un’efficienza maggiore e quindi un minore consumo di risorse.
Un altro importante fattore che influisce sulle dimensioni dei semiconduttori è il costo. Infatti componenti più piccoli, benché la loro produzione richieda attrezzature costose, potano alla produzione di processori il cui prezzo finale risulta essere inferiore, compensando così eventuali spese dovute ai macchinari.
Come mai ridurre le dimensioni è così difficile?
Come spesso accade la natura riesce a bilanciare le cose a suo favore. Ecco perché quei potenti ed efficienti, seppur piccoli, transistor sono inclini a perdite di corrente. Quindi anche mentre gli switch si trovano in uno stato “Off” e dunque non dovrebbero far passare alcun segnale elettrico, accade che il chip consumi energia, a causa della perdita di corrente, pur non facendo nulla. Minori sono le dimensioni maggiore è l’effetto, che ogni produttore di semiconduttori teme. E’ questo il principale ostacolo nella produzione di microprocessori, un ostacolo che non può e non deve essere sottovalutato.
Attualmente quanto è ottimizzato lo spazio?
Come potete constatare dalla tabella sottostante, i più diffusi processori mobile ora disponibili sul mercato si avvalgono di un processo costruttivo che varia dai 28 ai 20nm. Tuttavia il più piccolo processo produttivo commerciale a 14nm viene utilizzato da Intel per produrre le sue CPU desktop e notebook. L’azienda crede però di riuscire a raggiungere i 5nm nel 2020, mentre il limite del fatidico 1nm si prevede siano raggiungibili non prima del 2028. Sebbene questo possa sembrare uno “Zero assoluto”, al di sotto del quale non è possibile andare, nel 2012 abbiamo assistito alla realizzazione del primo processore grande, forse sarebbe il caso di dire piccolo, quanto un singolo atomo. Pertanto non si può sapere con esattezza dove la tecnologia ci porterà
Qualcomm Snapdragon 810 20
Qualcomm Snapdragon 80528
Apple A820
NVIDIA Tegra K128
Samsung Exynos 7 Octa20
MediaTek MT679528
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