Produzioni, Rai nuovo dominus del cinema (Il Sole 24 Ore)

Creato il 02 gennaio 2014 da Nicoladki @NicolaRaiano
C'è un nuovo dominus nel mercato del film italiano. Si chiama Rai. Lo è, in parte, suo malgrado. A fronte del recente parziale "disimpegno" di Mediaset-Medusa, il servizio pubblico continua ad investire nel cinema nazionale. Con modalità diverse dal passato però: la tendenza è quella di comprare tutti i diritti di un film, in quota parte, diventandone proprietario. Tale modalità, da una parte, rischia di chiudere importanti sbocchi sui mercati ai produttori indipendenti (quelli scelti come partner). La Rai, dall'altra, difende il legittimo interesse a difendere gli 80 milioni investiti ogni anno.
Un convegno svoltosi a Torino, "Rapporti tra cinema italiano e televisioni nazionali" nell'ambito delle Giornate europee del cinema e dell'audiovisivo, ha permesso di confrontare i diversi punti di vista. I piccoli produttori, a fronte della difficoltà di trovare investimenti da parte delle tv nazionali, si attrezzano per lavorare con partner stranieri all'estero.
Rai dominus suo malgrado: un provvedimento dei ministeri dello Sviluppo e dei Beni culturali, il "decreto quote", ha dato piena attuazione, in ritardo, al Testo Unico sui servizi media audiovisivi. Il quale prevede sia quote di prodotto europeo sulla programmazione, sia quote di investimento in percentuale sul fatturato, per la Rai pari al 15% dei ricavi annui. Per i privati, pay tv incluse, tale quota è pari al 10% degli introiti netti annui.
Ora il decreto definisce le opere italiane e la percentuale da riservare loro nei palinsesti non tematici (1% del tempo di diffusione) e tematici sul cinema (3% del tempo). Per la Rai la quota per le opere italiane è pari all'1,3% del tempo per i canali non tematici e al 4% per i canali di cinema. Vi sono poi le quote e le sottoquote, all'interno della quota di investimenti, da riservare al finanziamento, al pre-acquisto e all'acquisto di opere italiane. Il decreto prevede una sua entrata in vigore progressiva negli anni, con uno "sconto" a decrescere sino al 2015.
La "ratio" di tale decreto - sottolinea Bruno Zambardino - è di stabilizzare gli investimenti in produzione di nuove opere, con la novità della percentuale per il pre-acquisto. Nella tv generalista, il 50% dei 3.967 film trasmessi (repliche escluse) è statunitense e il 36% italiano, coproduzioni incluse, con un calo degli ascolti dei film in tv, più marcato per quelli italiani, nel 2012 sul 2011. Le reti Mediaset hanno trasmesso il 60% dei film, il doppio della Rai: i film italiani sono concentrati su Rai3 e Rete4, mentre La7 è scesa al minimo storico. Nel 2012 solo il 17% dei film italiani trasmessi è stato prodotto dal 2000 al 2009. Sky è la piattaforma che trasmette più film (il 60% è made in Usa). I canali digitali di Rai e Mediaset hanno lo stesso "peso" percentuale sul totale.
Quale impatto avrà il decreto, a regime? Il Governo stima un investimento delle tv di 182 milioni in base a una simulazione sui fatturati 2011. Secondo stime basate sul 2012 l'impatto scenderebbe a 168 milioni rispetto a un investimento effettivo stimato a 150. Alberto Pasquale ha mostrato come, in questo scenario, stiano cambiando le modalità con cui la Rai investe nel cinema. Acquisendo, cioè, la proprietà di ogni film finanziato con quota intorno al 30-40%. Il servizio pubblico non acquisisce solo i diritti per la tv gratuita ma diventa partner nella vendita di tutti i diritti di quel film a tutte le piattaforme, pay tv e video-on-demand compresi. Su 105 film campione, dal 2001 al 2013, di 34 la Rai ha acquisito solo i diritti mentre in 71 è entrata con quote di proprietà.
La Rai ha spiegato come investa circa 80 milioni l'anno nel cinema italiano e debba quindi valorizzarli. La scelta di diventare proprietario di tutti i diritti? Perchè stima che il passaggio sulla tv generalista abbia ormai "un valore vicino allo zero". Con il decreto, infine, la Rai si troverà a dover programmare 120 film italiani l'anno prodotti negli ultimi cinque anni. Potendo mandarli in onda solo due anni dopo l'uscita in sala, la scelta dei 120 si riduce a tre anni di produzioni.
Marco Meleper "Il Sole 24 Ore"

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