Con insolita tempestività il legislatore è intervenuto, a fine anno, con tre distinti provvedimenti normativi: la riforma del condominio (legge 220/2012), la legge 4/2013 sulle professioni non organizzate e la riforma della professione forense (legge 247/2012).
Le prime due hanno un forte punto di contatto, dove la figura dell’amministratore condominiale, come ridisegnata dall’articolo 71 bis, trova la propria disciplina, per quanto riguarda la sua attività nella normativa sulle professioni non organizzate.
Dal 18 giugno 2013 (data di entrata in vigore della riforma del Condominio), infatti, «Chiunque svolga una delle professioni di cui al comma 2 contraddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l’espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile agli estremi della presente legge». Quindi, tutti i professionisti non ordinistici (tra cui gli amministratori condominiali), dovranno indicare nei propri atti di comunicazione di operare sulla base dell’indicata normativa.
La mancata indicazione viene considerata «quale pratica commerciale scorretta tra professionisti e consumatori» di cui al codice del consumo. Ne conseguono le relative sanzioni nel caso di mancato adempimento: divieto di continuazione dell’attività, sospensione provvisoria e sanzioni amministrative.
L’attività dovrà essere esercitata con competenza, buona fede nel rispetto dell’affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, dell’ampliamento e specializzazione dell’offerta dei servizi e della responsabilità del professionista. Si tratta, pertanto, dei criteri di riferimento che l’utenza potrà analizzare al fine di considerare se il servizio avuto, possa essere considerato o meno soddisfacente.
Con recentissimo provvedimento il Consiglio Nazionale Forense ha considerato la compatibilità tra l’attività di avvocato e quella di amministratore condominiale. Le argomentazioni svolte a sostegno della accertata compatibilità travalicano i limiti della professione forense tanto da poter essere considerati quali principi valevoli per tutte le altre professioni ordinistiche.
Un ulteriore problema sarà quello relativo all’inquadramento reddituale ai fini fiscali (si pensi agli studi di settore, codice di attività) e previdenziali ancorché, nel citato parere, il Cnf abbia espresso l’opinione che il reddito da attività di amministratore condominiale, per l’avvocato, assume natura professionale ed è, quindi, «soggetto anche a contribuzione a favore della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense».
Tale opinione trova conferma anche in recentissima giurisprudenza (Cassazione, sentenza 9076/13, laddove è stato riconosciuto che i compensi dell’ingegnere che aveva svolto attività di amministratore condominiale andavano considerati quale reddito professionale e di competenza quindi della rispettiva cassa previdenziale.
Altro quesito che va posto, è rappresentato dall’interrogativo se l’avvocato e, per quanto detto, il professionista ordinistico dovranno dimostrare di avere esercitato l’attività di amministratore condominiale per almeno un anno nel periodo antecedente all’entrata in vigore della legge e, in mancanza, se debbano avere frequentato un corso di formazione iniziale e svolgere attività periodica di formazione come previsto dal citato articolo 71 bis per chi, dal 18/06/13 svolgerà l’attività di amministratore?
Se, anche per tale quesito, dovesse valere il “principio di assorbimento” a favore della professione ordinistica, così come per i redditi attratti dalla Cassa Previdenziale di competenza, la risposta dovrebbe essere negativa. Sull’argomento, comunque, occorrerà che arrivi una risposta definitiva dalle casse professionali.Fonte Sole 24 Ore.maggio 2013