Francesca Tombari è nata a Fano, dove abita. Autrice affezionata del concorso letterario di Villa Petriolo, racconta di sé: “Scrivere è una passione a cui non ho mai rinunciato, un bisogno che negli anni è sempre più cresciuto diversificandosi. Ho partecipato a diversi concorsi letterari con conseguente pubblicazione in antologie sfiorando i temi più vari e quasi contrastanti fra loro dimostrazione del mio considerare la vita multicolore”.
E’ appena uscito il suo nuovo noir, "Avrei voluto parlare d'amore". Damster Editore, da pochi giorni presentato al pubblico.
Una storia vera, raccontata da Francesca Tombari. “Rosso ed è caldo, scivola fra i capelli, sul collo, lungo la schiena, è il mio sangue. Di nuovo l’odore di ferro e terra bagnata mi penetrano nel naso, ma ora ne sento il sapore anche in bocca mentre scende nella gola.” I miei genitori hanno acquistato la casa dove si svolge la storia nell’ottobre del 1986. Il caso, la sorte, il fato, o forse due anime non soddisfatte del loro destino, hanno voluto che percorressi quello stretto sentiero in discesa che porta alla fonte. Lì ho trovato, scivolandoci accanto, una piccola lapide con la data della morte di Luigia, della seconda Luigia….
Tanti in bocca al lupo a Francesca per la sua ultima fatica letteraria!
Racconto “Profumo di brodetto e ricordi” di Francesca Tombari.
- Rosc pasme du grancell sa na cuchiaiata de sug.
- En ce pos pensa a chi ochi.
- Hai vist che roba en cascati en tel mar dop che man guardat, me trema ancora el core.
- Derno pasme na mazola, que che fai dormi?
- Dai dai aven da sistema cla statua, mangian ste brudet e muvence.
- Aven da scava na bela buga in tel camp de cavil.
Ricordo mio padre che mi raccontava, lontana ancora la mia nascita, l’avventura più importante della sua vita, un incontro che gli avrebbe segnato ogni giorno a venire, ogni suo ricordo era quasi sempre legato a quell’alba ormai lontana, ogni gioia ed anche dolore.
Il brodetto era il piatto di tutti i giorni ed anche quello dei giorni di festa, ogni volta diverso perché dipendeva e dipende dal pesce pescato al mattino e spesso variava e varia a seconda del vento, del sole e soprattutto della fortuna.
Il grembiule di mamma lo indossava facendo qualche mossa buffa, poi iniziava a cucinare.
Non andava più in mare da tempo, era stanco e ammalato, ma la voglia di condividere con la sua famiglia che adorava ancora grande e irrinunciabile.
Quel pesce sul tavolo, il suo profumo, l’odore del mare, il sale e le scaglie che gli rimanevano impigliate fra le dita lo riportavano ai giorni lontani della sua vita quotidiana.
Io mi sedevo e gli preparavo l’aglio e la cipolla mentre lui alternava consigli su come cucinare un buon brodetto ai ricordi del tempo vissuto sul peschereccio con i suoi uomini.
I gesti erano veloci, l’ondeggiare delle onde del mare le sue mani che versavano l’olio d’oliva nella pentola sul fuoco e lo sfrigolare dell’aglio e della cipolla il crepitio dei flutti sugli scogli.
Il sole entrava in quella stanza colorando ogni angolo di arancio, le piantine sul frigorifero erano accarezzate dai suoi raggi e la bolla di vetro con il pesce rosso rifletteva la luce in mille colori.
Quanta pace e che armonia di profumi.
Si muoveva davanti ai fornelli e raccontava.
“Era venerdì, un’alba come tante altre di una estate ormai di fuoco, il ferragosto vicino, sul peschereccio le solite battute, Nello sfotteva a che por Athos che era un ragas.
Mi piaceva il suo parlare fra l’italiano che da noi pretendeva ed il suo farsi prendere dalla storia, lasciandosi andare a qualche accenno di dialetto fanese.
Mio padre, per tutti al porto “Il Roscio”.
“Quando abbiamo sentito quel peso nella rete, abbiamo fatto un grido di gioia, la pescata era abbondante, tornavamo a casa in anticipo sui tempi ed invece la sorpresa ci ha tramortiti.”
- Roberta sta a senti!
Se non mi vedeva più attenta perdeva immediatamente la pazienza e mi riprendeva, certo non gli potevo dire “me l’hai raccontata cento volte”, così lo guardavo dicendogli:
- Dai babbo vai avanti che ti si brucia il brodetto e lui riprendeva a raccontare sfaccendando felice.
“ Tiravamo le reti dentro il peschereccio guardandoci l’uno con l’altro, curvi una mano dietro l’altra, avevamo già capito che qualche cosa non andava, tropp pesant cla ret.
Eravamo a levante del Monte Conero a 27 miglia dalle coste Croate, quante avventure in quelle acque e quanta paura.
Tiravamo e le forze mancavano, ci incitavamo l’uno con l’altro mentre una leggera brezza asciugava il sudore sulle nostre fronti.
Ribolliva l’acqua fra lo scintillare del sorgere del sole sul mare, i pochi pesci rimasti impigliati si dibattevano nella rete lottando contro l’aria fresca del mattino che li uccideva.
Un ultimo sforzo, un grido di sorpresa e lei è venuta a noi maestosa e fiera.”
Interrompeva il racconto al momento giusto.
- Roby ora iniziamo a mettere il pesce, poco alla volta.
- Passami le seppie, lasciamole rosolare un attimo nel sughetto, il giusto che si cuociano un pochino, sono le più dure, ma quant en bon!
Il profumo nella cucina mi faceva venire l’acquolina in bocca e pregustavo il pane inzuppato in quel brodetto caldo fumante che presto avrei mangiato.
Gli schizzi di pomodoro ricoprivano le piastrelle e già immaginavo le grida di mamma quando sarebbe entrata nella stanza, ma poi avrebbe riso come sempre.
L’aceto da poco versato mi stuzzicava il naso, quell’odore agro-dolce era poesia, avvolgeva il profumo dell’aglio e della cipolla smorzando quello del pesce esaltando il pomodoro.
Poesia di profumi.
Iniziava poi delicatamente a mettere gli altri pesci due scorfani, una mazzola, una manciata di roscioli, una di grancelle, qualche nocchia, un rospo, ma poteva essere una razza, una manciata di gamberetti o sogliole purché pesce fresco andava sempre bene.
Mentre il racconto proseguiva con un tono di voce un po’ affannato.
“ Potente era davanti a noi, ricoperta di alghe e incrostazioni, mutilata dei piedi faceva spavento.
Come un’enorme nuvola nera aveva coperto ai nostri occhi il sole, spaventosa ci guardava ed il suo splendore antico era ancora evidente.
Nessuno parlava.
Io la guardavo negli occhi, due grandi pupille bianche che scrutavano nelle mie, impotente e muto per quel ritrovamento che faceva già presagire eventi non comuni.
All’improvviso il peschereccio ha ondeggiato con una forza inaspettata ed i suoi occhi scintillanti sono caduti in mare, veloci e repentini sono ritornati fra quelle acque che per secoli li avevano conservati.
Mi si è stretto il cuore.
Sciagura e vendetta ho pensato sentendo gli altri che con voce strozzata dicevano ad alta voce quel che stavo pensando io.”
- Roby mi sono ricordato il peperoncino vero?
- Si babbo lo hai messo all’inizio con il soffritto, non ti preoccupare il profumo che si sente è già così appetitoso ed invitante che mi è venuta una fame insopportabile.
- E l’aceto? Non è che mi sono dimenticato l’aceto?
- Macché ormai il brodetto lo puoi cucinare ad occhi chiusi e senza pensare!
- Affetto il pane e chiamo gli altri.
- Aspetta fammi finire di raccontare!
E mi fermava con una mano mentre con l’altra scuoteva piano la pentola per non rompere il pesce e riprendeva il suo racconto.
“ Il sole era alto in cielo e quell’enorme statua che il mare aveva restituito ci riempiva la mente di domande sulla sua sorte e sulla nostra.”
Si incupiva e le parole non erano più cristalline come all’inizio, diventava a tratti triste a tratti rabbioso, perché quella statua, suo malgrado, aveva segnato la sua vita ed anche poi la mia.
“ Me ne hanno dette tante e forse in parte avevano ragione, ma in quel momento abbiamo pensato alle nostre famiglie e nessuno di noi poteva immaginare il suo valore.
Siamo ritornati al porto e la notte l’abbiamo seppellita in un campo di cavoli e poi venduta, ma anche a noi ci hanno fregato!
Come erano amare le sue parole.
Non doveva finire così, se forse avessimo aspettato, pensato, chiesto consigli, ma cosa sapevamo, per noi era il nostro trofeo, il nostro bottino per una guerra che ogni giorno combattevamo fra quelle onde che accarezzano ed uccidono con il cambiar del vento, con il tramontare del sole.”
- Batto attento che ti si brucia.
In quei momenti non pensava più a nulla se non all’amaro che gli era rimasto dopo quell’avventura che non aveva cercato.
“ Cosa ne sapevo io che sarebbe stata portata via dall’Italia, che il suo valore era inestimabile che il Museo Gatty l’avrebbe portata in America e mai più restituita.”
- Dai babbo chiudi il gas che il brodetto è pronto.
Versavo il vino bianco nel bicchiere e glielo porgevo con un sorriso, mentre lui spolverava il brodetto con il prezzemolo fresco.
L’olio d’oliva ed il pomodoro amoreggiavano nei piatti con il pesce che ne godeva, le nostre bocche si riempivano di quel piacere ed il silenzio era il giusto sottofondo musicale.
Grosse fette di pane fresco attendevano sul tavolo
Ai ricordi della Roberta Pirani con un pizzico di mia fantasia.
Francesca Tombari.
Brodetto della Roby
soffriggere aglio e cipolla in abbondante olio extravergine d’oliva.
aggiungere un po’di salsa di pomodoro
versare il pesce freschissimo rospo, nocchie, seppioline, astici, roscioli , sogliole…
far cuocere a fuoco bassissimo
Aggiustare con sale e pepe o peperoncino.
Una spolverata di prezzemolo alla fine.
PS: Il brodetto fanese, ho voluto raccontare di un piatto caratteristico della mia città che ogni famiglia cucina con un pizzico di fantasia propria, reso noto anche grazie alla gara che ogni anno si ripete a Fano, esaltando il piacere del mangiare il pesce fresco sapientemente cucinato con una ricetta tramandata negli anni con quegli accenni di diversità che la rendono ineguagliabile e irripetibile di volta in volta.
L’Atleta del Lisippo trafugata, rubata, venduta, ceduta, ad ognuno la propria idea, ma nulla toglie la fortuna di alcuni marinai che l’hanno riportata alla luce.
Una magnifica opera che il mio cuore fanese vorrebbe riconsegnata alla Città della Fortuna dagli americani che ne hanno saputo riconoscere il valore molto più di quei poveri pescatori.