Una pratica, iniziata a luglio del 2009 e tutt'ora in corso, che la pay-tv ritiene illegittima, in quanto violerebbe gli obblighi previsti dal contratto di servizio pubblico per il triennio 2007-2009 (rimasto in vigore fino al 2011) in base al quale la Rai era tenuta a cedere gratuitamente «l'intera programmazione di servizio pubblico sulle diverse piattaforme distributive compatibilmente con i diritti dei terzi».
Sky ritiene che la condotta della Rai abbia comportato una minore crescita degli abbonamenti e un calo degli ascolti, con una perdita secca di oltre 100 milioni.
La vicenda risale al 2009. A partire da luglio la Rai inizia a criptare sulla piattaforma Sky alcuni dei propri canali e delle proprie trasmissioni. In contemporanea, la tv pubblica, insieme a Mediaset e a Telecom Italia Broadcasting (controllante di La7), lancia TivuSat, una nuova piattaforma satellitare gratuita ufficialmente destinata alle 500 mila famiglie italiane non raggiunte dal segnale Rai terrestre, di fatto utilizzata per fare concorrenza alla stessa Sky. Sulla questione interviene anche l'Autorità garante per le comunicazioni che, sempre nel 2009, su sollecitazione di alcune associazioni dei consumatori, apre un'istruttoria sul comportamento della Rai. La vicenda si conclude con una delibera in cui l'Autorità diffida viale Mazzini «a provvedere entro il mese di febbraio 2010 ad offrire agli utenti (in regola con il pagamento del canone e che ne facciano richiesta) la smart card TivuSat». A quel punto Sky si rivolge alla giustizia amministrativa, che le dà ragione. Sia il Tar, con una sentenza del 2012, che il Consiglio di Stato, ad agosto 2013, stabiliscono non solo che il comportamento della Rai è illegittimo, ma anche che l'impegno preso da viale Mazzini con l'Autorità per le comunicazioni a promuovere la diffusione del decoder Tivusat costituisce un aiuto di stato illegittimo. Per i giudici l'impegno della Rai a diffondere TivuSat viola, inoltre, anche il testo unico dei media audivisivi che vieta espressamente a viale Mazzini «di utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico generale radiotelevisivo». Forte di queste due sentenze, la pay-tv vuole ora passare all'incasso. La voce di una imminente azione legale della tv di Murdoch girava da giorni.