Prometeo di Eschilo al Teatro Greco di Siracusa
Creato il 08 giugno 2012 da Spaceoddity
Prometeo incatenato racconta l'epifania dell'uomo agli dèi. Essi non sono più soli, ora che gli uomini hanno il fuoco, ora che quel brulicare effimero di capricci sotto il cielo calpestato dai piedi celesti solleva lo sguardo a ringraziare i titani, i nemici giurati del nuovo ordine costituito. Titanomachia alle spalle, Zeus è lontano e inaccessibile, nella tragedia che Eschilo scrisse probabilmente intorno al 470 a.C.: il dio parla attraverso i suoi messaggeri, i suoi emissari, i suoi ordini. In scena abbiamo soltanto gli sconfitti titani e gli infelici uomini, ai quali la scienza e la ragione di Prometeo non sono stati in grado di alleviare le infinite e incomprensibili sofferenze.
Come ne Le Baccanti, è di nuovi dèi che si parla qui. Poco importa, in questo caso, se questi nuovi dèi corrispondono poi alla formulazione del più antico pantheon originario. Nella tragedia sembra che l'ordine e il disordine, anarchia e nuove gerarchie si contendano lo spazio esistenziale dei Greci. Il proliferare di nuovi nomi, sia esso un riemergere di divinità in parte dimenticate, sia invece un'evoluzione del sentire religioso, mostra un'ineludibile irrequietezza spirituale; ma ne emerge altresì l'indebito sincretismo nel quale noi moderni tendiamo ad appiattire culture storicamente contigue, ma non unitarie. Rimane il fatto che gli spettatori greci si sentivano chiedere ragione della loro fede e venivano invitati a rifletterci su.
Tragedia molto insidiosa sul piano teatrale, per l'immobilità del protagonista, incatenato a una roccia per volere di Zeus per tutto lo spettacolo, il Prometeo rischia di perdersi nei suoi misteriosi dialoghi e nelle sue allusioni talvolta non immediate. In più, in Eschilo una straordinaria modernità di spirito e di problemi convive con una patina arcaica, "ancestrale" direi, che potrebbe alienare la simpatia di molti. Mi fa piacere, dunque, che ciò non sia successo in questa stagione 2012 a Siracusa, nella messa in scena di Claudio Longhi. Una breve indagine tra amici e alunni ha sottolineato la netta preferenza di ciascuno per il Prometeo o per Le Baccanti, come a dire che i due spettacoli sono complementari.
Io, che sono pregiudizialmente favorevole nei confronti della manifestazione (nonostante i mille dubbi e le molteplici obiezioni di fondo su alcune scelte), direi che mi sono piaciuti entrambi, ma ammetto senz'altro la mia preferenza proprio per il Prometeo. Mi sembra che l'insieme dello spettacolo sia stato più organico e coerente, anche laddove singoli elementi (come la coreografia della Martha Graham Dance Company meno precisa che ne Le Baccanti) e alcuni errori in scena hanno un po' smussato il mio entusiasmo. Riconosco pure che l'ottimo Massimo Popolizio, nel ruolo di Prometeo, non ha mantenuto la promessa di altre recite, almeno non sotto ogni aspetto, sebbene sia stato nel complesso all'altezza di un compito impegnativo e difficilissimo, che richiede tanta pazienza quanta bravura.
Trovo ottimi l'Efesto di Gaetano Bruno, per i suoi movimenti a scatto in scena e l'interpretazione sciolta e sicura, e l'Ermes di Jacopo Venturiero, per la voce e l'energia della sua presenza scenica. Nello stesso tempo, trovo che ci abbiano guadagnato entrambe nello scambio (rispetto alle Baccanti) tra protagonista e corifea Gaia Aprea e Daniela Giovanetti. L'una è una Io insieme animale e umanissima, selvatica più selvaggia, irrequieta, come morsa da un tafano, scioltissima; l'altra guida il coro delle Oceanine con intensità e partecipazione. Buono l'Oceano di Mauro Avogadro, solenne e coerente, mentre Massimo Nicolini e Michele Dell'Utri completano il cast nella parte di Potere (Kratos) e Violenza (Bìa).
Una menzione speciale va, però, all'orchestra di percussioni che accompagna lo spettacolo. Il bellissimo tappeto musicale di Andrea Piermartire è organico allo spettacolo, rapinoso senza essere invadente: sottolinea dove serve, affianca gli attori, li sostiene in una partitura scenica davvero splendida. Ma un altro elemento, stavolta estrinseco, contribuisce alla simpatia emotiva dello spettacolo: quest'epifania umana e divina, questo rivelarsi e svelarsi di forze contrapposte, è stato sottolineato da un tramonto terso e splendido, fresco e commovente. La luce naturale che via via è scesa sulla scena, dimentica di tutti gli artifici della regia e degli scenografi, ha illuminato la tragedia di una forza davvero sovrumana contribuendo alla contemplazione estatica da parte del pubblico (o almeno, da parte mia). Lo si dimentica troppo spesso, ma anche questo è teatro.
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