La storia è quella di una missione su un pianeta lontano dalla terra alla fine del ventunesimo secolo. Protagonista della ricerca è una coppia di scienziati, alle prese con domande metafisiche tanto urgenti quanto personali e abbrutite dal senso di ridicolo che suscitano negli altri. Lei, Elizabeth Shaw (Noomi Rapace) è credente, fedele, tenace; lui, Charlie Holloway (Logan Marshall-Green), è più fragile e romantico. Meredith Vickers (Charlize Theron) rappresenta l'azienda che ha finanziato l'impresa, mentre un robot, David (Michael Fassbender), veglia sulla spedizione con la sua disumana assenza di bisogni corporei e il capitano Janek (Idris Elba) guida la nave Prometheus. L'equipaggio raggiunge il pianeta degli "ingegneri" - coloro che verosimilmente avrebbero creato l'essere umano - e lo perlustra con l'atteggiamento archeologico consueto alla fantascienza, ma presto scopre che quel posto in realtà è un serbatoio di morte, di creature mostruosamente ostili all'uomo.
Non c'è riassunto della trama che possa rovinare il film più di quanto non faccia lo stesso film. Prometheus procede per balzi e per buchi narrativi imbarazzanti (ma ancora accettabili) nella prima parte, mentre cade proprio nel ridicolo nella seconda metà del film, quando lo spettatore ha abbandonato qualsiasi pretesa di coerenza. È anche improprio dire che c'è troppa carne al fuoco, perché semmai quasi non c'è fuoco. La replica di episodi celebri non fa, di questo film diretto e prodotto da Ridley Scott, un prequel di Alien, come lasciano prefigurare molte scene, e in particolare l'epilogo, inquietante nunzio di un sequel (per altro già annunciato). Di fatto, Prometheus colleziona tutti i difetti tipici di una cultura banalizzata fino allo squallore, tra ricordi mitologici alterati - puro alibi pseudodottrinario - e assenza di qualsiasi nesso di causa-effetto (mi riferisco alla dinamica interna al film, non a preconcetti scientisti o realisti).