Gianni Berengo Gardin è un fotografo italiano tra i più noti.
Il suo modo caratteristico di fotografare, il suo occhio attento al mondo e alle diverse realtà, dall’architettura al paesaggio, alla vita quotidiana, gli hanno decretato il successo internazionale e lo rendono un fotografo molto richiesto anche nel mercato della comunicazione d’immagine.
Gianni Berengo Gardin vive a Milano ed è membro dell’importante agenzia fotografica Contrasto dal 1990 ed è inoltre membro del circolo “La gondola” di Venezia.
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EGO di Izabella Teresa Kostka
Sgretolate dimensioni dell’egoismo
giungono al suolo al morir del giorno,
lambiscono mute le remote ferite
lapidate al buio dai sensi di colpa.
Strisciano di notte nei vicoli ciechi
stordite,
impaurite dalla propria vergogna.
Non sanno ammettere l’imminente sconfitta.
Germogliano all’alba dell’ignoranza
cotanti profeti e sacerdoti,
lodando da sempre la vecchia Dea
annientata sull’ara ricca di marciume.
Scrutano il vuoto oscurato dell’Ego
pietrificati,
condannati al loro inferno.
Divorati dall’egocentrismo.
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DENTRO ME di Marino Santalucia
Qui dentro le cose si confondono
in uno strato spesso e impenetrabile.
Com’è che sono diventata così?
Immagino un lampo
un trambusto di confronti d’ogni tipo
mi soffocano, ci soffocano.
Dentro me
è successo un fatto strano
è tutto bianco o nero
e tutto quello che non mi uccide
si trasforma in un’invasione di tenebre
che rende nudo il mio dolore.
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Verde Muffa di Romeo Raja
“ Come sei buffo buffo
mentre mi guardi sbuffo
nessuno che si distingua
caccia fuori la lingua
sembri un puffo puffo
mentre mi guardi scuffio
adesso batti le mani
per terra ci andiamo domani “
E invece
lei è venuta e ci ha guardato
senza avere alcun sospetto
senza l’aria un po’ bastarda
di chi t’ama ma hai un difetto
Solo lei non ha il problema
questa è storta
questa è scema
questa a volte
a volte
questa
qui si entra e poi si resta.
E lei è restata
verde muffa sopra un muro
t’ho chiamato mille volte
ha risposto solo lei.
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ERGASTOLANI di Izabella Teresa Kostka
Fermati!
In questo dirupo del muto grigiore
abbellito dal canto degli sporchi piccioni
n o i e s i s t i a m o.
Scordiamo gli orologi (arrugginiti guardiani)
misurando il tempo coi passi nel vuoto,
dannati guerrieri senza più scudi
scarnati d’orgoglio,
allibiti dai baci.
Abbiamo perso l’unico treno
verso le lande dei sopravvissuti,
rinchiusi nello spazio del non ritorno
nell’ultimo abbraccio degli ergastolani.
Prigionieri di questa Terra.
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PENSIERI FISSI di Roberto Marzano
Lenir come vorrei tale tormento
sonagli rotti pendulano in testa
le litanie di voci di fantasmi
ripetono fa’ presto, datti un taglio…
Tra poco arriverà il Dottor Ampère
il suo folle voltaggio schioda-cervello
mi precipiterà ben ben più in basso
di dove sono adesso e tanto soffro
i lacci stretti ai polsi, alle caviglie
sbocco a un mondo immaginario
di fate con sei braccia, occhi di lupo
edera perniciosa m’aggroviglia
immobile sul letto, sul soffitto
aghi ritorti che m’accarezzano
i capelli sudati e gli argomenti
dei soliti miei pensieri fissi…
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ALTROVE di Luca Gamberini
Mi mancano i pomeriggi trascorsi all’oratorio, le corse nel cortile, il pallone mai fermo, le voci che mi hanno dimenticato, le orecchie che non mi hanno mai ascoltato.
Religione e confusione, sono stato troppo giovane, troppo timido, troppo imbranato, correvo e lo sapevo fare bene, piangevo e lo sapevo fare male, mi picchiavano spesso, più o meno come adesso, gli amici, i nonni, le zie, i cugini, mi piaceva tanto bere il latte la sera prima di dormire. Non ho più avuto un’età da quando ho incominciato a dimenticare, ho comunque sempre corso e odiavo le camicie, i grembiuli, i colletti stirati, le preposizioni semplici, quello stringersi le mani in segno di pace mentre dentro tutto tace. Ho provato anche a pregare per aiutare il latte a digerire la notte, ma dicevano che disturbavo e mi massacravano di botte, niente tabelline da imparare ad alta voce, mi affascinava la poesia ma non sapevo scrivere, a malapena leggere, ma era la parola poesia ad accendere in me una spia, ed è solo attraverso essa che riesco a ricordare come nasce e muore un fiore, solo attraverso versi insanguinati riesco a percepire quando mi vengono a cercare per vedere, chi sono adesso, che importanza ha? Non potranno mai scoprirlo dal momento che ho vinto l’impossibilità di dimenticare. Non ho mai fatto l’abitudine alle carezze, non mi sono mai crogiolato tra cuscini madidi di certezze, sono un deserto pieno di fenomeni di vita non gestibili dalla religione, mentre voi siete tutti morti sul divano con un telecomando in mano, mentre ancora io sto correndo, ancora sudo, ancora mi sveglio nel cuore della notte e grido, vi ho reso miei schiavi e per ribellarvi continuate a picchiarmi dove non sento dolore, a cercarmi dove non sono, a vedermi per come siete voi. Certo, mi manco, nel senso morfologico del termine, mi stanco, nel senso che mangio spesso in bianco, mi riposo, nel senso che il mio sangue è adiposo, mi veglio, nel senso che mentre dormo resto sveglio, mi incenso e questo apparentemente non ha senso, mi attendo, nel senso che nulla da me pretendo. Vorrei, non ripetermi mai, vorrei, non ripetermi mai, la pistola scacciacani non è in grado di scacciare i guai, inutile spararsi, equivarrebbe a inginocchiarsi agli altri, agli aghi e a tutti questi oggetti sparsi che solo io vedo tra le rughe di questo cielo buio. Gioca con me, gioca jouer, saltello a piedi uniti dentro a un atelier, lacci alla moda, campari soda, compare Alfio, poi scompare, scompari soda, mi sento come l’ora di religione. I miei personaggi ancora una volta tutti morti, tranne me.
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Sono solo occhio inosservato
di ciò che si ostina davanti alla visione
così filtro nel buio la luce in cui cadere.
E’ attesa di mare a respirare o moto di crepa
che fa avanzare in una fessura a piedi nudi
mentre i dettagli nel silenzio bianco e vasto
risolvono ogni cosa.
Un inverno strano raccolto in una grata
rumoreggia contro i vetri e non si placa
affondo nel nubifragio della notte
come un grido imploso a cera persa.
Nel cerchio di quiete e silenzio intangibile
mi spando e nel moto la pienezza è vuoto.
Arcaica e trasparente vortico sul dorso degli inferi
in una direzione inedita verso la luce .
Incrocio me stessa nella neve che bisbiglia e intanto cresce
il senso del reale in un guizzo
che brilla più di ogni risposta.
Come un abisso bianco si fa geometria e ordine
di ciò che è appena finito di nascere
o non è mai nato.
Uno spazio vuoto è libertà.
Sono pietra che il vulcano erutta
pietra rovente di braci infinite.
Questo silenzio delle cose travalica il mattino
conosce lo smarrimento della terra
il sangue mescolato alle nubi del cielo
il verdetto nel martirio sconsacrato.
[ pietà sussurra l’acqua tra le pietre]
Questo silenzio fa cerchio e scuote dal torpore
nel punto sospeso in ogni fibra
annusa improvviso il senso del dolore.
Qui non giunge preghiera.
Questo silenzio è chiarore di impronta nel deserto
si spande nelle venature in ogni stelo
nelle tempie infinite dell’infanzia
sui rami e sulle acque che ci attraversarono
fa di noi mancanza.
Trabocca nel suo dire per poter sparire.
Si sta così come inverno di lava
che rapprende su pietre
foglie rami olivi e casolari
sradicati nel silenzio antico delle cose.
Che ne sarà dei bambini
Che cosa avete fatto , cosa state facendo …
Essi non chiesero di nascere
non chiesero ad alcuno di morire.
Sono muti nel dolore
Come bianca nebbia tra gli olivi.
Che ne sarà di tutti noi…
di Maria Allo
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avrei chiuso quel bacio in un’onda d’aria , avrei dato al fiato il tremore leggero di un lago .
avrei chiesto al tempo di trattenere se stesso un attimo ancora
gli avrei chiesto di lasciarsi addormentare
sulle bocche di chi ci parlava accanto e ci raccontava senza sapere
spingendoci nell’oltre di una vita non qualunque
ma schiusa in profilo di giunco che ci adornava inconsapevole nelle ore spettrali di un ultimo giorno moderno
ancora da aspettare e per sempre lasciare andare .
avrei chiuso quel bacio con una morsa salina .
lo avrei protetto dal vento gelido di quell’inverno inconsapevole
lo avrei tenuto ancora per un po segreto
disteso sulla bocca come cosi nelle mani
e lo avrei protetto
come fanno gli occhi grandi di una madre .
avrei lambito con fame le sterpaglie del nostro nido
con quell’ultimo fiato lasciato dal cuore al nostro arrivo
ed allora avrei capito
che con quel bacio avrei lasciato per sempre le armi .
avrei zittito per sempre il cuore e mi sarei diretta versa nuova memoria .
con la punta della tua lingua mi sarei ridisegnata
e mi sarei spaiata nelle parole più assurde
quelle che si lasciano sul cuscino di un giardino siderale
e sulle labbra
con le rotondità calde della notte .
di Rosaria Iuliucci
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Gianni Berengo Gardin – fotografo che ha fatto la storia. Di Jennifer Lazzaro
Berengo parlando di se dice di non considerarsi artista ma bensì fotografo. Fotografo o se vogliamo essere pignoli,possiamo considerarlo come testimone di ciò che egli vede.Egli scatta le sue foto cogliendo il cosiddetto attimo,e quindi cerca di prevedere l’attimo ancor prima che esso accade così da scattare nel momento decisivo in cui avviene qualcosa di imperdibile. La foto sovrastante può essere uno dei tanti esempi di cattura dell’attimo. Rappresenta uno dei poeti italiani,Giuseppe Ungaretti mentre passava li tranquillamente e saluta gli studenti dell’Accademia in piazza San Marco durante una contestazione della biennale di Venezia. Questa è la particolarità di Berengo che cattura la mia attenzione,egli è stato in grado di catturare attimi particolare che hanno fatto la storia,anche per questo per me egli è un fotografo che ha fatto la storia proprio come sottolinea il titolo del mio articolo. Egli inoltre è anche uno dei protagonisti dell’importante agenzia di fotografia situata a Venezia ovvero “Contrasto” dal 1990 ed è anche membro del circolo “La gondola”di Venezia. Berengo molto importante anche grazie ai suoi 250 libri fotografici pubblicati grazie all’editoria e non al giornale,perché un giornale pubblica al massimo 5 o 6 fotografie,mentre con un libro puoi raccontare la storia di ogni fotografia incorporata in essa,puoi esprimerti,andare a fondo e non essere così superficiale.Il libro che l’ha reso più noto è quello su Venezia “Venise des Saisons ” il quale è stato pubblicato in Svizzera,nonostante egli lo avesse offerto a 8 editori italiani i quali tutti hanno rifiutato perché non parlava di una Venezia turistica,a colori o una Venezia sotto forma di cartolina. Egli venne scoperto tramite una mostra a Londra svolta grazie ad un dirigente dell’architettura con le foto riguardanti Venezia e fu proprio li che un famoso editore svizzero che ha visto le foto e in 22 giorni ha creato il libro. Berengo è anche contrariato alle cosiddette “foto d’arte” scattate dai giovani d’oggi,perché copiano quello che hanno fatto i pittori con anni di ritardo,quindi senza mai rinnovarsi, senza avere creatività ma soprattutto senza documentare nulla,ed egli stesso dice che la vera fotografia è quella che documenta,proprio come le sue foto le quali fan si che le generazioni future ricordano cose passate scomparse e riguardo questa idea io sono pienamente d’accordo. Magari oggi giorno avessimo fotografi simili a lui,credo che tale modo di fotografare sia veramente fantastico e rende vera tale forma artistica di esprimersi ed esprimere se stessi,non come la fotografia digitale di oggi che documenta poco e nulla.
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urlo umano di Patrizia Sardisco
Ascolta. I padiglioni aperti
ci mostrano
_ mostri senza apertura alare
mostrata
frattura refrattaria alle gaussiane
dimostrata ontologia del non
trama resistente
alla nominazione in positivo
non uomo non donna non
anima non dio
non io
grumi _di differenza per opposizione
siamo? cosa? siamo cosa
non si deve pensare
urto del gesto che rimuove
furto con scasso di urlo umano
ripulito rubricato
a pura categoria della sragione
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