Prostitute: femminicidi invisibili

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Perché non sei venuta a presentarti spontaneamente, tu che sembri la più coraggiosa? Perché quando una di noi ha avuto il coraggio di denunciare i boss, questi lo sono venuti a sapere subito da un informatore che hanno in mezzo a voi, e quella ragazza è stata uccisa. Questo è impossibile, si irritò, qui non succedono cose simili.

Gli raccontai degli occhi scomparsi di Milica, gli raccontai che quando ci riunirono intorno al suo corpo lei era morta, ma loro non avevano ancora sfogato tutta la loro rabbia.
Qui, se devo dire la verità, anch’io avrei voluto uscire per prendere un po’ d’aria. Dunque? chiese l’uomo. Continua. A Milica hanno cavato gli occhi in nostra presenza, dopo hanno preso il corpo per bruciarlo, ma hanno dimenticato di bruciare anche gli occhi. E gli occhi sono scomparsi come per magia. Dio mio, disse il poliziotto, sono anni che faccio questo lavoro e ne ho viste di cose, ma questa le supera tutte.
Fecero una breve pausa per il caffè. A me portarono una mezza pizza e un’aranciata.
Dopo dovetti raccontargli la storia di Minira, del piccolo Bled tenuto in ostaggio, di Angelo… Gli feci capire perché Minira si era ridotta peggio di tutte noi. Mi chiesero dov’era l’appartamento in cui tenevano sotto chiave il bambino. Non lo sappiamo. Nemmeno Minira lo sa. Lo tengono segreto. Minira viene da una provincia sperduta di Laggiù, una provincia tanto remota da sembrare ai confini del mondo. Non sa leggere, sa scrivere a memoria solo il suo nome. Angelo viene a prenderla lì dove dorme con le altre donne e la porta nell’appartamento dove tiene il bambino. Minira non parlerebbe mai, nemmeno se la facessero a pezzi. Ucciderebbero Bled, se lei parlasse.
Aiutateci, signor poliziotto. Il poliziotto capo uscì dalla stanza e rientrò dopo parecchio tempo.
Dobbiamo rilasciarvi. Ma voi dovete aiutarci ad arrestarli, e per far questo abbiamo bisogno di prove. Ma io vi ho raccontato tutto. Non basta. Fu lì che il cuore mi abbandonò e io cominciai a piangere. Tutte le mie speranze divennero in un solo istante polvere. Piansi a lungo… Molto a lungo. In ufficio entrò anche un ufficiale che a quanto pare era di grado più elevato.
Noi possiamo tenervi in un posto sicuro. Se avete paura di tornare da loro anche per pochi giorni, non vi obblighiamo. Possiamo organizzarvi il viaggio di ritorno al vostro paese. Ma, se facciamo così, voi non potete raccogliere prove contro di loro, dunque quelli resteranno liberi. Capito? Capito, ragazza? Abbiamo bisogno di tempo per trovare le prove su quanto ci hai raccontato. E prima di permettervi di ritornare nel vostro paese, dovete deporre in giudizio contro di loro.
Sentendo quelle parole, ricordo che alzai la voce. Loro ci avrebbero uccise, avrebbero ucciso anche i nostri genitori Laggiù, non lo capite? Noi non potremo mai deporre contro di loro, e non potremo in nessun modo ritornare Là. Loro ci troverebbero, ci troveranno ovunque. Ci uccideranno, come fate a non capirlo?
A questo punto decisi di raccontargli di Aurora. Io faccio la prostituta perché loro hanno ucciso Aurora per costringermi a ubbidirgli. Finora sono rimasta viva solo per amore dei miei genitori. Se consentissi loro di uccidermi, loro resterebbero soli. E ucciderebbero anche loro.
Dunque, non ci restò altro da fare che uscire dalla polizia e tornare dai boss. Avremmo dovuto comunque tornare, dal momento che Angelo teneva Bled. Intanto dovevamo trovare prove inconfutabili, dovevamo registrare ciò che dicevano e altre pazzie del genere.

Sopporto con pazienza, devo solo aspettare che il mio corpo arrivi a casa. Voglio vedere per l’ultima volta mamma e per la prima volta la tomba di Aurora. Dopodiché, me ne andrò, una volta e per sempre. È lunedì. Il lunedì è sempre stato il mio giorno fortunato. Oggi è lunedì. Lunedì, 5 marzo 1997.
Riesco a vedere il mio corpo fatto a fette come un melone e contemporaneamente l’uomo che lo ha ridotto così. Piange, ma sta attento a non farsi scoprire, a non uscire dalla colonna dietro cui si è nascosto. È una cosa alquanto strana vedere te stessa dentro una bara. Sapere che non potrai più toccare nessuno, né bere una tazza di caffè o pettinarti. Fa un certo effetto anche vedere chi ha pugnalato il tuo corpo e non potere apparirgli davanti in veste di fantasma, facendolo urlare di spavento come in una tragedia, in una allucinante corsa senza fine.
Lui sta soffrendo. Certo, soffre, ma non abbastanza da costituirsi alla polizia. Tanto sa bene che l’indagine si chiuderà in fretta. Per un po’ di tempo cercheranno l’ennesimo assassino dell’ennesima prostituta, dopodiché tutto sarà archiviato. Non vale proprio la pena di sprecare denaro pubblico per una puttana venuta da Laggiù. Selvaggi, ci tocca pure sopportarli. Non potevano capitarci vicini migliori invece di questi disperati, loro e la loro terra desolata? Ma i vicini, esattamente come i parenti, non li puoi scegliere: se ti è toccato in sorte un parente debosciato sei finito, devi tenertelo per tutta la vita. E quando ti capita un vicino miserabile hai due vie d’uscita: o lo riduci in schiavitù o cambi casa. Ma gli stati non cambiano casa: possono però cambiare le cose – i costumi e le usanze, le strategie e gli eserciti, i governanti e gli alleati. Se lo desiderano, perfino i nomi, ma la casa no.
Quanto a tener sotto controllo quella gente disperata, be’, purtroppo questo è per il momento impossibile.
Il mio dossier si riempirà di polvere, chiuso dentro qualche scaffale. Lì ci sono le mie fotografie di quando facevo la puttana, con quel trucco osceno che odiavo con tutta me stessa. E anche quelle del mio corpo squartato come una bestia da macello.
Un tipo della Criminale scattava foto canticchiando una canzonetta di successo. Mi fotografava il collo da pochi centimetri. Stava accucciato, con le gambe appoggiate sulle costole. Piegato in due, scattava e canticchiava. Mentre è tutto impegnato nell’operazione, gli squilla il cellulare.
Ehi, ciao… No, ora non posso… È urgente? Senti, ne parliamo stasera, ora sono preso… Ma no, niente di che, hanno ammazzato una puttana… Come dici? No, proprio massacrata, non puoi avere idea… L’hanno ridotta uno spezzatino…
Do veramente quest’impressione? Io non sono una puttana, non lo sono mai stata. Fortuna che tenevo in tasca un foglio con il mio nome e cognome. E fortuna che la polizia l’ha trovato. Almeno potranno risalire alla mia identità e avvertire i miei genitori.

Passaggi tratti da “Sole bruciato” di Elvira Dones, scrittrice, giornalista e sceneggiatrice albanese, autrice di questa lettera aperta al nostro ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, a fronte di una delle sue solite battute sessiste.

Quando ho letto questo libro ho pianto tutte le mie lacrime, lacrime di disperazione. In macchina la sera mi sembra ancora di vedere queste ragazze sul ciglio della strada.

Tratta. Sulle strade italiane la percentuale maggiore di ragazze che incontriamo sono rumene, nigeriane e albanesi. Non sono puttane. Sono donne prostituite da aguzzini. Nel loro paese vivono situazioni di degrado e di povertà e sono due i modi con cui approdano nel nostro Paese: vengono rapite oppure ingannate. Illuse di trovare un luogo migliore e più ricco dove poter fare un lavoro decente e guadagnare qualche soldo per la famiglia. In realtà hanno un debito da risarcire ai loro trafficanti, quello per il viaggio.

Coercizione. Una volta giunte in Italia sono obbligate a prostituirsi. Le modalità sono quelle della violenza. Violenza fisica attraverso stupri, pestaggi e torture. Violenza psicologica, che porta queste ragazze a convincersi che essere puttane è la loro unica scelta, il loro destino di vita. Le ammazzano di botte sotto docce fredde o con stracci gelidi, per non lasciare segni. Bruciano le loro ferite col sale. Le tengono legate. Le violentano in tutti i modi e le umiliano.

Minacce. Vivono in un costante stato di ansia. Non possono ribellarsi, non possono fuggire. Sono completamente alienate in un paese che non conoscono e vivono nella paura. Non possono denunciare, pena la vita. La loro e quella dei loro figli. Le nigeriane sono minacciate con riti voodoo.

Mafia. Le mafie dei Paesi di provenienza sono collegate con quella italiana. E’ una rete attraverso cui ci si organizza, si spartisce, si contratta. E’ un vero business, in cui la merce è carne umana. Le donne sono solo oggetti senza autonomia nelle mani dei trafficanti.

9.000.000. Sono gli italiani che regolarmente consumano corpi di donne sulle strade, compiendo quelli che sarebbe più giusto chiamare stupri a pagamento.

Misoginia. E’ quella che accomuna trafficanti e consumatori, a volte anche forze dell’ordine conniventi. Quella che porta a considerare il corpo della donna come un pezzo di carne da vendere, comprare, sporcare, annichilire.

Disprezzo razzista. Spesso questi atti di violenza da parte dei “clienti”sono accompagnati da razzismo, come sottolinea Stefano Ciccone qui. Donne che sono viste come non-donne, disprezzate in quanto puttane e straniere.

Ammazzate. Il numero di prostitute uccise ogni anno è molto alto. Spesso le nostre cronache si riempiono di notizie relative ad uccisioni nei confronti di queste ragazze, ma i numeri sono imprecisati poiché il sommerso è elevatissimo. Spesso sono ammazzate dai trafficanti, se si sono ribellate o hanno tentato di denunciare o scappare. Altre volte sono ammazzate da clienti, che forse nel pacchetto oltre al sesso pensavano di acquistare il diritto sul corpo e sulla vita di queste donne. Come erano fantasmi in vita, così rimangono da morte. Storie dimenticate, di poca importanza, abbandonate negli archivi o, molto più spesso, mai scoperte.

Femminicidi. Anche questi sono femminicidi. Queste donne muoiono perché tali, a causa della stessa mentalità misogina che attanaglia l’intera società.

Questi sono solo alcuni degli ultimi titoli riguardanti casi di prostitute morte ammazzate. E questa una serie di fotografie scattare da Cristiano Berti che lasciano senza fiato; sono i luoghi “vuoti”, dove sono state uccise 19 prostitute dal 1993 al 2001, in provincia di Torino. Ecco invece un servizio sulla fiaccolata del 17 febbraio 2012 per le nigeriane uccise: Vi lascio infine con questa testimonianza di Isoke Aikpitanyi, storia che di particolare ha ben poco, visto che racconta il classico modus operandi dei trafficanti: Non nascondiamo la faccia sotto alla sabbia! Diamo legittimità a queste vite spezzate!

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