L’anomalia de Il Giornale non sta nell’essere espressione di una precisa parte politica, ma nell’averne fatto la sua sola ed esclusiva ragione. In un articolo di oggi sulla protesta per l'università si legge:
Le critiche, a ben vedere, si concentrano sui tagli, ma essi non fanno parte della riforma. I tagli sono un aspetto legato all’approccio che il Tesoro ha avuto nei confronti della crisi internazionale. Si possono quindi criticare i tagli ma non si possono confondere con la riforma. È un errore banale, da non addetti ai lavori, che nel passato non avremmo sentito fare da membri di un mondo specializzato ed «esoterico» come quello dell’università, dire che «la riforma taglia le risorse» quando si sa benissimo che le risorse sono una variabile mentre la normativa un assetto stabile.
Ma, insomma, il nesso non è in questione, perché i tagli e la riforma sono il prodotto di una volontà politica precisa, che parla con una sola voce e che, con il pretesto di sradicare il clientelarismo (il che sarebbe più che condivisibile, ma è forse credibile questa volontà se caldeggiata da un governo che annovera tra le sue fila schiere di indagati, condannati, collusi con le mafie ecc.?) vuole in realtà lasciar morire la scuola pubblica e togliere risorse all’università e alla cultura. Perché questa “riforma” è semplicemente uno dei parti peggiori del berlusconismo, la temperie (in)culturale nella quale non c’è alcun bisogno di formare il cittadino attraverso la scuola, perché si forma il suddito attraverso televisione e propaganda.