La passione di Proust per i taccuini è nota. Forse, scrive giustamente Colm Toibin nel The New York Review of Books, tale passione riguardava più il feticismo dell’oggetto che la scrittura nei taccuini appunto. Ma concetti, temi, lemmi, pensieri, che poi si ritrovano nei libri rimasti celebri, hanno una loro origine, il più delle volte, dentro prime bozze su taccuini, un’abitudine conservata fino al momento della morte.
Alcuni oggetti si sono mossi dalla biblioteca nazionale francese per la prima volta: in una lettera Proust cerca di convincere un editore spiegando la bellezza del suo nuovo romanzo, ma la scrittura è brutta, sì, brutta in senso visivo, talvolta anche disordinata. Sembra una scrittura fatta di fretta, come sostiene Toibin, di un uomo in ansia, un uomo che sente di avere poca disponibilità di quiete interiore.
Non mancano segni feroci sulle frasi, per togliere e indicare che quanto scritto non funziona, un laboratorio continuo, forse la vera forza di uno scrittore rimasto nel tempo.
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