Proust in loop/2 - Il piacere della solitudine

Da Anacronista
Come preannunciato, due brani speciali dalla Recherche. Risparmio ulteriori premesse; dico solo che, finora, in ambito letterario non ho letto nulla di più interessante su quell'ambiguo, strano, spesso incompreso piacere che si prova nella solitudine. Pur non condividendo del tutto le parole di Proust - ad un certo punto forse avrei usato una parola diversa rispetto ad "amicizia". Ma comunque, è bello assai.
Da M. Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore, in Alla ricerca del tempo perduto, Einaudi 1981, pp. 799 - 801:
"Tra lui e me fu presto convenuto che eravamo diventati grandi amici per sempre, e Saint-Loup diceva 'la nostra amicizia' come se avesse parlato di qualcosa di importante e di delizioso che esistesse fuori di noi stessi e che egli non tardò a chiamare - mettendo a parte il suo amore per l'amante - la gioia migliore della sua vita. Parole che mi cagionavano una certa tristezza, e a cui mi trovavo imbarazzato a rispondere, perché nello stare in sua compagnia, nel conversare con lui non provavo - e, certo, sarebbe stato lo stesso con chiunque altro - nulla di quella felicità che mi era invece possibile raggiungere quando ero senza compagno. Da solo, talvolta, sentivo affluire dal fondo di me qualcuna di quelle impressioni che mi davano un benessere delizioso. Ma, appena ero con qualcuno, appena parlavo ad un amico, il mio spirito faceva dietro-front, dirigeva verso l'interlocutore e non verso me stesso i suoi pensieri, e quando essi andavano così in senso inverso non mi procuravano nessun piacere. Una volta lasciato Saint-Loup, mettevo, con l'aiuto delle parole, una specie d'ordine nei minuti confusi passati con lui; mi dicevo che avevo un buon amico, che un buon amico è una cosa rara, ed assaporavo, nel sentirmi circondato da beni difficili da acquistare, proprio l'opposto del piacere che mi era naturale, l'opposto del piacere d'avere estratto da me e portato alla luce qualcosa che vi era nascosto nella penombra. Se avevo passato due o tre ore a chiacchierare con Robert de Saint-Loup ed egli aveva ammirato ciò che gli avevo detto, provavo una specie di rimorso, di rimpianto, di stanchezza di non essere stato solo, di non essere finalmente pronto a lavorare. Ma mi dicevo che non si è intelligenti solamente per sé, che i più grandi uomini hanno desiderato d'essere apprezzati, che non potevo considerare perdute ore in cui avevo costruito un elevato concetto di me nello spirito del mio amico, mi persuadevo facilmente che dovevo esserne felice e tanto più vivamente mi auguravo che quella felicità non mi fosse mai tolta in quanto non l'avevo provata. Più che di qualsiasi altro bene si teme la scomparsa di quelli rimasti fuori di noi, perché il nostro cuore non se n'è impadronito. Io mi sentivo capace di esercitare l'amicizia meglio di molti (perché avrei sempre fatto passare avanti il bene degli amici a quegli interessi personali cui altri sono attaccati e che per me non contavano), ma non di trovare gioia in un sentimento che, invece di aumentare le differenze che c'erano fra l'animo mio e quello degli altri, - come ve ne sono fra gli animi di ciascuno di noi, - le avrebbe cancellate."
 Da ivi, pp. 975 - 976:
"E tuttavia non avevo forse torto di sacrificare i piaceri non soltanto della vita mondana, ma anche dell'amicizia, a quello di passare tutto il giorno in quel giardino. Gli esseri che ne hanno la possibilità - è vero che sono gli artisti, ed io ero convinto da un pezzo che non lo sarei stato mai - hanno anche il dovere di vivere per se stessi; ora l'amicizia è per loro un'esenzione da questo dovere, un'abdicazione di sé. La stessa conversazione, che è il modo d'espressione dell'amicizia, è una divagazione superficiale, che non ci arricchisce di nulla. Possiamo conversare per tutta una vita senza far altro che ripetere indefinitamente il vuoto di un minuto, mentre il cammino del pensiero nel lavoro solitario della creazione artistica si fa nel senso della profondità, la sola direzione che non ci sia chiusa, in cui possiamo progredire, con più fatica, è vero, verso un risultato di verità. E l'amicizia non è soltanto priva di virtù come la conversazione: è inoltre funesta. Perché l'impressione di noia che quelli di noi la cui legge di sviluppo è puramente interiore non possono non provare presso un amico, cioè restando alla superficie di sé, invece di proseguire il loro viaggio di scoperte nel profondo, quell'impressione di noia l'amicizia ci persuade a rettificarla quando ci ritroviamo soli, a ricordarci con emozione le parole del nostro amico, a considerarle come un apporto prezioso, mentre noi non siamo simili a costruzioni cui si possano aggiungere pietre dall'esterno, ma a piante che traggono dalla loro propria linfa il nodo successivo del loro fusto, il piano superiore del loro fogliame. Mentivo a me stesso, interrompevo la crescita, nel senso secondo cui potevo effettivamente crescere, ed essere felice, quando mi rallegravo d'essere amato, ammirato da un essere così buono, così intelligente, così ambito come Saint-Loup; quando applicavo la mia intelligenza non alle mie oscure impressioni, che sarebbe stato mio dovere decifrare, ma alle parole del mio amico, in cui, ridicendomele - facendomele ridire da quell'altro 'io' che vive in noi e sul quale siamo sempre contenti di scaricare il peso del pensiero - mi sforzavo di trovare una bellezza, ben diversa da quella che perseguivo silenziosamente quando ero veramente solo, ma che avrebbe dato maggior pregio a Robert, a me stesso, alla mia vita." 

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