Provato Bound

Creato il 07 dicembre 2015 da Lightman

PS Experience 2015

Uno dei titoli indie più interessanti del panorama Playstation 4, presentato alla Playstation Experience: l'abbiamo provato, scoprendo un platform tradizionale nelle meccaniche ma originalissimo sul fronte artistico.

Francesco Fossetti scrive di videogiochi -fra una cosa e l'altra- da più di dieci anni, e non ha ancora perso la voglia di esplorare il mercato con vorace curiosità. Ammira lo sviluppo indie e lo sperimentalismo, divora volentieri tutto il resto. Lo trovate su Facebook, su Twitter e su Google Plus.

È strano che l'interessante progetto di Sony Santa Monica e del team Plastic abbia anticipato i tempi, saltando l'appuntamento con la PlayStation Experience per palesarsi invece ai Game Awards di Geoff Keighley. Bound è del resto uno dei titoli indie più interessanti del "pacchetto esclusive" approntato da Sony, assieme a What Remains of Edith Finch. Qui all'evento di San Francisco abbiamo comunque avuto modo di provarlo, grazie ad una piccola demo che ha messo in risalto i tratti caratteristici della produzione, attentissima ad esaltare la componente scenica ed artistica, sacrificando forse la solidità di un gameplay classico nell'impostazione ma dai tratti insolitamente armoniosi.

Plié, piquè, brisé

I ragazzi di Plastic spuntano fuori ad intervalli regolari, proponendo su piattaforme PlayStation titoli quanto mai sperimentali. L'ambiente in cui sono nati è quello delle Demoscene, e da lì fuor sembrava uscito il loro primo titolo, arrivato su console addirittura nel 2007. Linger in Shadows era di fatto un non-gioco, un'esperienza puramente spettatoriale, passiva, ben più quanto non lo siano i titoli di Cage o le moderne avventure grafiche di Telltale. Nello strano mondo messo in piedi dal team di sviluppo trovavano spazio figure astratte ed entità puramente matematiche, pronte ad costruire architetture surreali e magnetiche. Molto diverso è stato invece Datura, una sorta di viaggio etico e onirico da compiersi armati di PlayStation Move, generalmente massacrato dalla critica per via delle ambizioni decisamente contenute. Con Bound il team prova a dare ulteriore spazio alla componente ludica, presentandosi con quello che sembra a tutti gli effetti un platform tridimensionale, con piattaforme semoventi, scalate e ostacoli da superare. Basta uno sguardo al gioco, tuttavia, per capire che l'elemento fondante di Bound resta l'urgenza di sfogare stravaganze e pulsioni artistiche, assemblando un mondo illogico e bellissimo. Nell'universo di Bound si muovono oceani di cubi lattiginosi, pilastri titanici ricoperti di piastre colorate, piante completamente geometriche e strani uccelli poligonali che sbattono le loro ali spigolose. Sappiamo poco, di questo mondo, se non che sembra materializzarsi per una magia binaria in uno spazio altrimenti vuoto. Circondate da un orizzonte infinito, si allungano le campate di ponti squadrati e regolari, che ci conducono verso isole fluttuanti nel nulla. Questo mondo, che assomiglia ad un territorio interamente "cerebrale", immaginato o sognato dalla sua regina, è in pericolo: una bestia terribile lo sta distruggendo, e toccherà alla protagonista, una principessa dalla grazia innaturale, cercare di salvarlo.

Chiamata in causa dalla madre, la ragazza si manifesta di fronte agli occhi del giocatore come una figura fragile ed elegante. Flessuosa, longilinea, si muove come una ballerina: in punta di piedi, piegando le ginocchia, e poi saltando con una spaccata a mezz'aria. Nei suoi movimenti si riscopre una strana mescolanza tra il balletto classico e la ginnastica artistica: tutti i gesti tradizionalmente conosciuti e interiorizzati dall'appassionato di platform, a partire dall'appiattirsi contro un muro per arrivare ad un'arrampicata su una corda, in Bound vengono eseguiti con una teatralità esibita e magnetica, e quindi in qualche modo decostruiti, riscritti. Il movimento non è importante solamente per la sua funzione, ma per la sua estetica, ed il viaggio compiuto all'interno di questo mondo assume un valore nuovo, giustificato da un ideale di grazia ed armonia.
Nel corso dei primi minuti passati in compagnia di Bound, la sostanza ludica affiora molto delicatamente, viene messa spesso e volentieri in secondo piano: in rilievo ci sono invece i gesti della protagonista, eseguiti in verità dalla balleria Mariia Udod e immaginati dal coreografo Michal Adam Gòral. Eppure in qualche modo la progressione non è esclusivamente passiva, l'esperienza tutt'altro che spettatoriale.

La definizione più giusta di quello che vuole essere Bound sembra averla data il team stesso: è un non-gioco da vivere come se fosse un gioco vero e proprio. Al momento l'impasto pensato dal team di sviluppo è intrigante ed in qualche modo originale, anche perché Bound sembra voler nascondere significati misteriosi ed allegorici. La natura di questo spazio trasognato emergerà sicuramente nel corso della storia: in un attimo di smarrimento della nostra protagonista, ad esempio, ci siamo ritrovati in una stanza buia in cui, di fronte ai nostri occhi, si è materializzata una scena intima e familiare, come se fosse un frammento di memoria perduto nel tempo. La scena di un padre che insegna ai figli a giocare a scacchi. Chissà che l'universo squadrato di Bound non sia formato dalle sbiadite reminiscenze di una vita lontana. Ad incuriosire, oltre a queste ambiguità interpretative, è pure la quantità di riferimenti artistici e visivi alle correnti futuriste del primo novecento, dal neoplasticismo di Piet Mondrian al suprematismo russo. Chiude il quadro una colonna sonora ovviamente vorace, che spesso invade la scena con le sue note sintetiche ma delicate, mescolando in maniera fortemente evocativa la calma del balletto al piglio deciso di rintocchi elettronici.

Registrati utilizzando un Account esistente