La sonda Planck mappa l’universo ed osserva universi paralleli
Un po’ più vecchio e un po’ più lento nella sua espansione: è questo l’universo che emerge dai risultati delle osservazioni del satellite Planck dell’ESA. I suoi strumenti hanno prodotto una nuova, dettagliata mappa della radiazione cosmica di fondo, considerata la lontana eco del big bang, che conferma nelle sue linee essenziali il modello standard della cosmologia, ritoccando anche la composizione percentuale dell’universo tra materia ordinaria, materia oscura ed energia oscura. Le disomogeneità su larga scala della mappa dovranno però essere spiegate da nuove teorie.
Le osservazioni del satellite Planck dell’Agenzia spaziale europea (ESA), rese pubbliche oggi, hanno prodotto con un dettaglio mai raggiunto finora una nuova “mappa” dell’universo, che è risultato di 80 milioni di anni più vecchio e più lento nella sua espansione rispetto alle precedenti misurazioni.
L’età è ora stimata in 13,81 miliardi di anni, mentre la costante di Hubble, che misura il tasso di espansione dell’universo, è di 67,3 chilometri al secondo per megaparsec.
In realtà, quando si parla di mappa dell’universo si intende una rappresentazione di una sua precisa caratteristica: la radiazione cosmica di fondo, o CMB, la debolissima radiazione nello spettro delle microonde che pervade lo spazio e che corrisponde a una temperatura di 2,7 kelvin sopra lo zero assoluto.
La radiazione cosmica di fondo osservata da Planck (Cortesia ESA/Planck Consortium)
Prevista su base teorica dal fisico sovietico George Gamow nel 1948, la radiazione di fondo è stata scoperta fortuitamente da Arno Penzias e Robert Wilson nel 1964. I cosmologi ritengono che si tratti di una radiazione “fossile” originatasi nelle fasi primordiali della vita dell’universo e di una delle più convincenti conferme sperimentali della teoria del big bang.
Inizialmente le prove sperimentali portarono a ipotizzare che la radiazione di fondo si propagasse nello stesso modo in tutte le direzioni dello spazio, che fosse cioè isotropa. In realtà lo è solo fino a una parte su 100.000: misurazioni sempre più precise, ottenute soprattutto con il satellite COBE della NASA, hanno rivelato lievi anisotropie (corrispondenti a piccole fluttuazioni di temperatura) sparse in tutto l’universo visibile, che sono rappresentate nelle mappe da punti o da regioni di diverso colore.
Dal punto di vista fisico, queste piccole differenze di temperatura sono il frutto delle variazioni di densitàpresenti nell’universo primordiale che hanno dato origine alle galassie. Secondo il modello standard della cosmologia, la rapidissima espansione dell’universo verificatasi durante il periodo inflazionario ha “stirato” queste zone fino a renderle evidenti su ampia scala.
Le mappe ottenute dal satellite Planck da una parte confermano con buona precisione il modello standard nelle sue linee generali. Proprio l’estrema precisione degli strumenti del satellite sta però evidenziando nuove caratteristiche che richiederanno nuove teorie e nuove spiegazioni.
Il cielo “anomalo” di Planck (Cortesia ESA/Planck Consortium)
Secondo il modello standard, le regioni di fluttuazione della temperatura dell’universo dovrebbero apparire a un primo sguardo come distribuite in modo casuale. Se si considerano piccole zone della mappa in effetti è così. Se si fa invece un confronto su grandi porzioni di cielo, appaiono sia un’asimmetria tra opposti emisferi sia un “punto freddo” (cold spot) la cui estensione supera le attese. “Il fatto che Planck abbia rivelato queste anomalie sgombra il campo da ogni dubbio sulla loro effettiva presenza”, ha spiegato Paolo Natoli, ricercatore dell’Università di Ferrara, commentando i risultati (Qui il comunicato della Sapienza di Roma, con i commenti di altri ricercatori italiani che partecipano alla missione)
La “nuova” composizione dell’universo secondo Planck (Cortesia ESA)
Infine, le osservazioni di Planck consentono di ritoccare non solo i dati riguardanti età e velocità di espansione dell’universo ma anche quelli che riguardano la materia che lo compone. Finora le stime parlavano di un 4,5 per cento rappresentato dalla materia ordinaria, di un 22,7 per cento da materia oscura (non rilevabile con gli strumenti ma necessaria per spiegare la dinamica delle galassie) e di un 72,8 per cento di energia oscura (necessaria per rendere conto del fatto che l’espansione dell’universo è in fase di accelerazione). Secondo i dati di Planck le percentuali sono invece 4,9 per cento, 26,8 per cento e 68,3 per cento, rispettivamente.
La sonda Planck osserva altri universi: La prima prova del “multiverso”?
Se la scoperta dovesse venire confermata, la parola ‘universo’ potrebbe diventare desueta ed essere sostituita da ‘multiverso’.
Gli astronomi, infatti, sono persuasi di aver trovato la prima prova dell’esistenza di altri universi oltre il nostro, partendo dall’analisi dalla ‘radiazione cosmica di fondo’ lasciata dal Big Bang.
I dati raccolti da Planck, la sonda dell’Agenzia Spaziale Europea, hanno permesso ai ricercatori di mappare la radiazione di fondo, una sorta di traccia di sottofondo predente da quando l’Universo a cominciato ad esistere 13,8 miliardi anni fa.
La mappa mostra delle anomalie che secondo i cosmologi potrebbero essere causate dall’attrazione gravitazionale esercitata da altri universi al di fuori del nostro. I risultati implicano che il nostro universo potrebbe essere solo uno tra miliardi di altri universi, o anche, di infiniti universi.
Nel modello teorico elaborato dai cosmologi, dopo il Big Bang la materia risulta distribuita equamente in tutto lo spazio visibile, ma la mappa fornita da Planck mostra una concentrazione più forte nell’emisfero sud del cielo e un punto più ‘freddo’ che non è possibile spiegare con le attuali conoscenze della fisica.
“Queste anomali sono causate dall’attrazione gravitazionale esercitata sul nostro da altri universi”, ha detto Laura Mersini Houghton, fisico teorico presso l’Università della Carolina del Nord. “Ci troviamo di fronte alla prima prova concreta dell’esistenza di altri universi”.
La Mersini Houghton, assieme al suo collega Richard Holman, professore presso la Carnegie Mellon University, già nel 2005 aveva pubblicato una serie di articoli nei quali aveva previsto ciò che Planck sembra confermare.
“Le anomalie statistiche che abbiamo rilevato, potrebbero essere anche l’effetto di fenomeni fisici profondi che ancora non ci sono noti”, hanno scritto in un documento recente.
Anche se alcuni scienziati rimangono scettici sull’esistenza di altri universi, i risultati delle osservazioni potrebbero segnare un passo decisivo verso un nuovo modo di considerare l’astrofisica. Planck ha raccolto la radiazione dell’Universo primordiale quando aveva appena 370 mila anni di vita.
La precisione della mappa fornita dalla sonda è così alta da rivelare alcune caratteristiche inspiegabili che richiedono l’elaborazione di una nuova fisica per essere comprese.
I risultati, secondo molti scienziati, mostrano l’esistenza di altri universi oltre il nostro. “Questa idea ci sembra stramba in questo momento, proprio come quando fu formulata la teoria del Big Bang tre generazioni fa”, spiega al Sunday Times Geroge Efstathiou, professore di astrofisica presso l’Università di Cambridge. “Poi però abbiamo trovato la prova e tutto il modo di pensare l’universo è completamente cambiato”.
Se cosi’ fosse, dovremmo cominciare ad abituarci alla parola ‘multiverso’ e la domanda tradizionale della cosmologia ‘l’universo è finito o infinito?’, potrebbe essere sostituita da ‘il numero degli universi è finito o infinito?’, e se finito, cosa c’è oltre?
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