Prove di guerra civile a Kiev

Creato il 21 febbraio 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Dal nostro inviato a Kiev Eliseo Bertolasi

 
Com’era prevedibile la situazone a Kiev è nuovamente peggiorata. La nuova scintilla: il tentativo, martedì 18 febbraio, di bloccare una colonna di manifestanti che stava per irrompere in una seduta alla Rada. A prescindere dalla causa scatenante, era solo questione di tempo: la tensione tra i manifestanti e le forze dell’ordine (che ovviamente personificano il governo) era talmente tangibile che prima o poi un qualsiasi pretesto avrebbe scatenato questo incendio.

Nelle ultime settimane i manifestanti avevano addirittura guadagnato terreno spostando in avanti la linea difensiva delle barricate. Ne avevano costruite delle nuove in posizione più avanzata, come ad esempio quelle su via Grushevskava, teatro dei duri scontri con la polizia di qualche settimana fa. Osservo che i manifestanti, ora, sono molto più organizzati rispetto ai primi momenti, e quando parlo di manifestanti non intendo le migliaia di persone che di domenica arrivano in piazza per sostenere la protesta, ma intendo coloro che in piazza, ormai, ci vivono stabilmente da dicembre.

È innegabile constatare che da semplici manifestanti si sono ormai trasformati in una specie di “miliziani”: vestono mimetiche tedesche o Nato, spesso indossano buffetteria militare, protezioni, portano caschi, elmetti, maschere antigas, sono armati di mazze, manganelli, si proteggono dietro veri e propri scudi metallici. La polizia, nella giornata di martedì, scendendo dall’altura del Hotel Ucraina ha respinto indietro i manifestanti fin nel centro della piazza. Lì si trova ora il “fronte” di Piazza Maidan.

Piazza Maidan, il cuore della capitale, per chi ci è stato una delle più belle piazze del mondo, è ora trasformata in un campo di battaglia: da una parte le truppe antisommossa dall’altra i manifestanti protetti da una barricata che hanno eretto trasversalmente alla piazza, dietro la quale parte il lancio di una continua e nutrita sassaiola contro la polizia. In mezzo ai due schieramenti: il fuoco, che viene costantemente alimentato con pneumatici e legname per creare una cortina fumogena contro la polizia. 

In base alla mia testimonianza diretta, in piazza non ho mai visto manifestanti armati di armi da fuoco. Contro la polizia lanciano pietre e molotov. Il selciato della piazza è stato totalmente divelto, i mattoni vengono poi frantumati in piccole pietre per essere lanciate contro le forze dell’ordine. Dietro la barricata i manifestanti sono ben organizzati, la prima linea è costantemente rifornita di pietre che arrivano con dei lunghi passamano dai punti di frantumazione posti nelle retrovie in piazza, o fino dalla via Kreshatik; anche il cibo è abbondante, viene offerto gratuitamente e distribuito a tutti da tanti punti di ristoro e da ragazze che con i vassoi in mano girano tra la gente in piazza. Supporre che tutta questa organizzazione, questa logistica, sia frutto di una semplice autogestione mi sembra piuttosto arduo. È impossibile non intravvedere una regia o almeno un’organizzazione alle spalle.

La notte tra mercoledì e giovedì la situazione sembrava surreale, un incubo, se non per il fatto che si trattava di realtà; realtà nella quale ero completamente immerso. Il buio della notte squarciato dal fuoco delle barricate e degli incendi, dai lampi delle granate, con i potenti fari della polizia che puntavano sulla piazza. Le grida dei manifestanti, il rumore assordante delle granate antisommossa, sparate dalla polizia, e in sottofondo, dagli altoparlanti del palco, le continue preghiere recitate dai preti che benedicono la rivolta. Tra i manifestanti si aggirano, infatti, molti preti sia cattolici sia della chiesa uniata arrivati dalle regioni occidentali, oltre che preti della chiesa ortodossa utocefala ucraina.

Un’evidente incongruenza perché, come ben sappiamo, la protesta aspira ad integrare l’Ucraina nell’Unione Europea, mentre, al contario, l’Unione Europea ha rifiutato d’inscrivere nella suo atto costitutivo le radici cristiane.
Inno nazionale ucraino e preghiere, “nazionalismo e religione”, un miscela potentissima quando si vogliono creare i presupposti per una guerra civile. 
Ormai si parla di oltre venti morti sia tra le truppe antisommossa che tra i manifestanti, e di centinaia di feriti.

Nel pomeriggio di mercoledì la situazione si presentava stazionaria: incendi, continua sassaiola contro la polizia da parte dei manifestanti con le loro mimetiche e i loro visi ormai neri dalla fuliggine, e la polizia immobile sullo sfondo, che presidia tutto un lato della piazza, in attesa di un ordine di attacco che per il momento non arriva. Arriverà? Quando arriverà? O forse non arriverà! In piazza è palpabile questa specie di “sospensione”, questa tensione di costante attesa. 

Nel frattempo Kiev è paralizzata, da martedì la metropolitana è chiusa con dei pesantissimi disagi per la popolazione che, seppur esausta dal perdurare di questa situazione, cerca comunque di dare una parvenza di normalità alla propria routine quotidiana. Contemporaneamente, sollevazioni popolari con attacchi alle varie sedi delle Amministrazioni regionali si stanno propagando a macchia d’olio un po’ in tutta l’Ucraina occidentale e centrale. Auspico che governo e opposizione possano ancora trovare spazi di negoziazione. Nelle mie interviste in piazza nessuno mi dice che vuole la divisione dell’Ucraina, e, forse, per ora, non si arriverà a una frattura tra l’Ucraina orientale e sud orientale e l’Ucraina occidentale e centrale. Tuttavia queste prove di “guerra civile” porranno un’ombra, un precedente, purtroppo sanguinoso, sul futuro del Paese. L’Ucraina non sarà più la stessa. 











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