(Cela s'appelle l'aurore, titolo di un film di Bunuel del 1955 (Gli amanti di domani e battuta conclusiva dell'Elettra di J. Giraudoux: non a caso Carmen è soprannominata dallo zio 'piccola Elettra', proprio quando le pone la medesima domanda che lei fa al cameriere.)
Affine a Sauve qui peut sia nella riflessione sul linguaggio cinematografico e sull'uso della colonna sonora (l'habanera di Bizet è solo fischiettata un paio di volte per caso), il film è ancora una volta una prova tecnica. Della storia di Carmen Godard - che interpreta il ruolo dello zio pazzo ed ex-regista ossessionato (ricorda Il nipote di Wittgenstein - amplia una parte trascurata, la passione esplosiva e distruttiva tra i due protagonisti. Il loro rapporto è fin dal primo incontro durante la rapina alla banca (Joseph è una guardia giurata) oscilla continuamente tra passione (esplicitamente erotica) e violenza verbale e fisica: ci sono echi di Vivre sa vie (Carmen parla senza il sonoro) e soprattutto di Le mépris, specie nella sequenza accompagnata da Ruby's arms:
Alcune chicche: i tulipani nella stanza di ospedale ricordano quelli di Domicile coniugal di Truffaut; le scene erotiche tra Carmen e Joseph nella casa spoglia ricordano quelle di Bertolucci; la donna delle pulizie che dopo la sparatoria nella banca lava (male) il sangue sa di Bunuel, come molti altri piccoli dettagli: critica cinematografica sparsa, più che vero film, ma tant'è.
Poche parole, invece, merita il film di Soldini, Cosa voglio di più (Italia-Svizzera 2010): così così, il solito film italiano sulla crisi della famiglia, questioni di corna e sogni infranti, coraggio poco e impocrisia tanta. Troppo appiattito sul quotidiano. Già visto e sentito. Sbadiglio.