Provocazione in forma d’apologo 166

Da Fabry2010

Quando si era ragazzi, decenni fa che sembrano secoli, bastava poco per spezzare la severa e tediosa routine: una grandinatella, una scossetta di terremoto, una bombuccia da niente. Allora si esultava gettando i libri per aria e gridando tutti, somari compresi, “Deus nobis haec otia fecit!”, e ci si sguinzagliava per strade assolate o fumose sale da biliardo, alla faccia dei professori e dei loro compiti in classe.
Ma si sa che non tutti i giorni è festa, e che il Cielo non sempre aiuta, onde s’impari ad aiutare se stessi. Sicché, incapaci di scatenar gli elementi e le forze telluriche, alcuni impararono a fabbricarsi gli otia da soli, imboccando la via della cabina telefonica e del gettone ben speso. “La bomba, ah sì, la bomba…”: e le classi pigramente sciamavano all’aperto, e l’ora dell’interrogazione di greco scorreva innocua per tutti, impreparati e secchioni.

Veniamo all’oggi, con un salto di decenni che sembrano giorni. Quanti di quei pierini di allora continuano a servirsi di quel collaudato sistema, dalle loro poltrone raggiunte magari anche grazie al medesimo?
Niente di meglio di un bel fumo di fumi per creare discontinuità che rendano ardui i confronti, per regalarsi a spese altrui connotati nuovissimi, per trasformarsi in un amen da responsabili a giudici.
Beninteso, la posta in gioco si è alzata, e le risorse del pari; e a questi livelli non si corrono rischi.
Prima di telefonare, pertanto, le bombe si mettono davvero; e poi, facendo le viste di cercarle per disinnescarle, ci si guarda intorno per cogliere al volo le reazioni, i rumori; con la mano abbandonata fuori vista, sotto il bordo del tavolo: e un dito contratto sul bottone, per premerlo – al bisogno – un attimo prima dell’altro.